Associazione Culturale "PRO BIRGI"

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venerdì 13 aprile 2012

marsala c'è .......il quotidiano di Marsala .......Rubrica : "M'assettu fora a lu lustru di la luna...."


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Giovedì 12 Aprile 2012 16:23
“Noi fummo i Gattopardi e Leoni; chi ci sostituirà saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti, gattopardi, sciacalli e pecore, continueranno a crederci il sale della terra”. (quaderni di L.Sciascia-1991). Credo che questi appunti-quadernii di Sciascia siano più attuali che mai…. in questo mondo privo di valori, che rotola irrefrenabilmente nella crisi più profonda, dove ormai ci si vergogna di …troppe cose….è bello, di tanto in tanto, rifugiarsi in cunti o storie semplici, che appartengono alla nostra Sicilia, per quel bello che è ….. rimasto : la cultura. Quanti detti, quanti personaggi sono legati a fatti, episodi , avvenimenti che hanno lasciato un segno indelebile in una “memoria autonoma” giunta, spontaneamente, fino a noi . Il personaggio di...
oggi, legato ad un detto – “Mamma li Turchi ! “, venuto fuori da avvenimenti di una Sicilia “aristocratica” del 1700, è il Barone Miccichè . Lo conosciamo , brevemente, prima di narrare…..”u fattu” :…. Figlio del Barone Placido , Michele Miccichè Barone di Villalba , come tutti i cadetti delle grandi famiglie siciliane visse una giovinezza irrequieta. La sua vita era costellata da avventure galanti , tra Amori,duelli e giuoco e, con fare eclettico, si dedicò anche a narrare i propri ricordi (con l’intento di far soldi…) addirittura in francese e pubblicato in Francia : “Pensèes ed Souvenirs historiques…”. Protagoniste di quel momento della vita “siciliana” (ma prevalentemente palermitana…) erano la Regina Carolina, Lady Hamilton, Lucia Migliaccio Duchessa di Floridia e Lady Bentinck delle quali si diceva molto innamorato , e la cui protezione gli valeva molto a scansare guai. Ma gli occhi della Duchessa di Floridia, di cui il Barone Miccichè rimaneva “estasiato”, erano talmente belli che avevano perfino ispirato il famoso Abate Meli nel comporre un’ode : “L’Occhi” ( …..Ucchiuzzi niuri ! si taliati….faciti cadiri casi e citati…etc.”). I ricevimenti a Palazzo Comitini erano dunque frequenti ed erano il luogo d’incontro dell’alta aristocrazia siciliana . A tutto ciò, come dicevo prima, venne legato un fatto che diede origine ad un detto che ancora oggi è…molto in voga , sintiti…sintiti : ………Nell’estate di fine 1700’ approda nel porto di Palermo, la flotta turca, fiore all’occhiello del potente impero Ottomano, che dominava il Mediterraneo dal Bosforo alle colonne d’Ercole. Durante la sosta nel porto di Palermo, le navi turche furono oggetto di visite di molte famiglie nobili palermitane. La più visitata era la nave ammiraglia, dove gli aristocratici visitatori, furono ricevuti con molta cortesia e disponibilità dall’Ammiraglio ottomano, che li ospitava offrendo loro dolci e rinfreschi. Uno di questi nobili visitatori, il Barone Miccichè, colpito dalla grande signorilità dell’Ammiraglio, volle ricambiare la cortesia, invitandolo a Palazzo Comitini, ossia il suo palazzo di città, sito in via Maqueda. L’Ammiraglio turco con gli alti ufficiali, giunsero al palazzo Comitini all’ora di pranzo. Dopo i convenevoli di rito e le presentazioni di tutta la famiglia, degli ospiti e degli invitati, passarono, tutti, nel grande salone per il banchetto. Mentre i commensali, mangiavano e bevevano di gusto, nel salone arrivò l’eco di grida di aiuto, provenienti, dagli appartamenti interni del palazzo. Dopo pochi secondi di sbigottimento, quasi tutti i commensali si levarono dalla tavola, per accorrere verso la camera, da dove provenivano le grida. Giunti, nella stanza, che era adibita alla servitù, sorpresero un marinaio turco, al seguito dell’Ammiraglio, che cercava di usare violenza a una giovane serva di casa del Barone Miccichè, la quale, non godendo di ottima salute, quel giorno era stata lasciata a riposo. La scena agli occhi dei soccorritori, apparve, con connotati tragico-comici, con la povera serva che si dimenava e urlava e il marinaio turco assalito da un moto di libidine, che non voleva mollare la preda. Ci vollero, quattro robusti servi per far desistere l’energumeno dal suo proposito. Condotto nel cortile del palazzo fu punito dai marinai turchi, di scorta all’Ammiraglio, con dieci vergate, sulla pianta dei piedi, come di usanza mussulmana. Mortificato per l’accaduto l’Ammiraglio turco presentò le proprie scuse e si congedò insieme al suo seguito. L’incidente sembrava chiuso senza che avesse lasciato spazio a ulteriori strascichi. Ma il giorno dopo, a Palermo, successe il finimondo. Nel primo pomeriggio alcuni marinai turchi, in libera uscita, fecero irruzione con armi in pugno nella bottega di un calzolaio, sita nella strada di Mezzomonreale (la Rocca…); e mentre un paio di loro tenevano a bada i garzoni, con la minaccia delle armi, gli altri afferrarono la moglie del padrone della bottega cercando di violentarla. I garzoni per nulla intimoriti, reagirono gettandosi sopra i marinai turchi, menando colpi di trincetto e di martello. Sorpresi, da tanta furibonda reazione, i marinai turchi, sanguinanti e malconci, cercavano salvezza nella fuga. La notizia dell’aggressione si diffuse rapidamente in tutto il quartiere dopo pochi minuti. Il popolo palermitano si rivoltò contro i turchi, sicché dove si trovavano marinai turchi, questi venivano assaliti senza capire il motivo. In pochi minuti la città fu in allarme, era incominciata la caccia ai turchi. Dalle finestre e dai balconi delle case, cominciarono a piovere, sulle teste dei malcapitati marinai ottomani ogni genere di “suppellettili”, vasi di fiori, sassi e anche qualche sedia. Mentre per le strade e nei vicoli, colpi di armi da fuoco abbattevano decine e decine di turchi. Ormai era una vera caccia al “turco”. Per gli angoli delle strade, si sentivano le voci dei ragazzi, che alla vista dei marinai stranieri gridavano “MAMMA LI TURCHI” come per dire ammazziamoli. Il massacro si prolungò fino a sera. Finché anche l’ultimo dei trecento marinai turchi scesi quel giorno a terra non fu ucciso o messo in fuga buttandosi in mare per mettersi in salvo. ( da V. Linares del 1840 -“Il Cantastorie” ….. tra i “ Racconti popolari di Palermo” )-


St’ucchiuzzi niuri
(Nun ti lassu) dalla raccolta “Siciliana”
di Salvatore Riela - CT -
Nun ti lassu bidduzza nun ti lassu,
mentri a stu munnu mi sentu filici,
ora bidduzza dimmillu chi dici,
siddu è ca m'ami ,
siddu è ca m’ami si o no,
st’ucchiuzzi niuri, sta vucca ridenti,
mi duni un signu
ca m'ami e m'aduri,
m'incatinasti bidduzza stu cori,
pi scatinallu ci voi sulamenti tu.

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