Associazione Culturale "PRO BIRGI"

Associazione Culturale "PRO BIRGI" per la Valorizzazione e lo Sviluppo di BIRGI e della Sua Riserva Naturale * ___________________________________ BIRGI e lo STAGNONE ! : .....unni l'aceddi ci vannu a cantari e unni li pisci ci fannu l'Amuri ! ________________________________ Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità . Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001

venerdì 6 settembre 2013

Contenuto Principale
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Bettu “Ammareddu” truvàu u curaddu. E fici arricchiri… a chistu e a chiddu”                                    di  Franco GambinoPDFStampaE-mail
VENERDI'  06 Settembre 2013 
......mentre la d.ssa Li Vigni commentava i capolavori, particolarmente apprezzati della sua raccolta...... mentre la stessa si soffermava ad illustrare la “meraviglia” del Crocifisso attribuito a fra' Matteo Bavera custodito presso il Museo Pepoli (Tp) di cui Lei è direttrice…...le sue parole rimbalzavano su un’attenta platea numerosa : "Un Cristo agonizzante, con il capo appena reclinato sulla spalla, lo sguardo sofferente rivolto al cielo…..con una resa analitica delle costole, della muscolatura in...
tensione, delle mani e dei piedi callosi"….. e successe che…….una ragazza dagli occhi malinconici…..mia vicina di “ poltrona”…. mi svelò questo suo disappunto e tanta disperazione per la chiusura di una struttura che fino ad allora era stata il vanto di una città : la “Scuola del Corallo” della città di Trapani e che in assoluta contrapposizione con le meraviglie delle opere illustrate, pareva……costituire una beffa e l’inganno alla cultura ! Mi disse che si era laureata “ all’ Academy Art Florence di Palazzo Spinelli (Firenze) “ con numerosi “master”, anche, sulle tecniche d’arte del restauro e che, fino ad oggi aveva dedicato con tanto entusiasmo la sua attività didattica, di docente, volta a valorizzare un’ autentica nobile arte - tra creatività, design e tecnica realizzativa- a quest’oro rosso –il Corallo- che il mondo c’invidia……Ma d’un tratto i suoi occhi s’illuminarono sulla mia curiosità ai suoi commenti tra storia e mitologia su questa “gemma” …..ed aggiungeva , la bella Irene Parrinello di Marsala : “…. secondo la mitologia i coralli si formarono quando il sangue che sgorgava dalla testa recisa della Medusa venne a contatto con l'aria e si solidificò. La loro forma ha suggerito il simbolismo dell'albero, inteso come origine e asse del mondo e unione dei tre generi della natura….l'animale, il minerale e il vegetale, e della vita, simboleggiata dal rosso sangue. Ma, inoltre, tra le “credenze popolari siciliane”,....... sapeva preservare i neonati dai pericoli del fulmine e dalla morte improvvisa ; da qui il riferimento ai suoi rametti posti a forma di croce che ne facevano una barriera contro i demoni e gli influssi malefici ( u maluocchiu ! ). Anche per questo lo si donava ai Battesimi…. ed il corallo era soprattutto simbolo della bellezza e perfezione del Creato e per questo divenne la materia prima, insieme con l'oro, per preziosi, meravigliosi oggetti di culto, per arredi sacri e profani.”……Peccato Le dissi, credo proprio che la chiusura di quest’importante Istituto di Trapani –Scuola del Design del Corallo sia uno “scempio” ed una “distruzione” di quei valori culturali sino ad oggi vanto per il rispetto di una tradizione antichissima in quell’artigianato povero e di lusso di questo nobilissimo materiale. E, mentre Irene descriveva i suoi “preziosi” commenti…….mi venne in mente una bella storia, nella tradizione del corallo – arricchita da una splendida poesia di “Vincenzo Licata” (che riporto in aggiunta al mio pezzo…) …..Ecco l'antica poetica leggenda sulla scoperta del corallo….. sintiti, sintiti… : “.Alberto Ammareddu ,pescatore, amava Tina, una bella ragazza,che gli aveva donato una medaglia in segno di Amore, con la benedizione di ‘scamparsi’ da tutti i pericoli che poteva avere quando usciva in mare. Alberto teneva la medaglia sempre con sè e un giorno manovrando con la sua barca, gli cadde in mare. Preso dal panico non ci pensò due volte a tuffarsi per recuperare la medaglia che, però, non fu più ritrovata ma notò e colse, invece, dei rami rossi come piante consistenti …..aveva scoperto il corallo ! “- Questa è una poetica leggenda che si tramanda da una generazione all'altra ma che in realtà ha un pizzico di verità. Nel mese di marzo del 1875 tre pescatori : Alberto Maniscalco detto Ammareddu, Alberto “Occhidilampa” e Giuseppe “Muschidda” si trovavano a pescare a circa 8 miglia da Capo San Marco e rimasero impigliati con le reti ; scandagliando il fondale per verificare la causa per cui si erano impigliati si trovarono di fronte a uno scoglio del tutto rivestito di corallo. Furono,poi, trovati diversi banchi di corallo da cui ne furono estratti decine di quintali . Nel 1880 fu scoperto un terzo banco che per la sua estensione veniva chiamato “l’isuluni” con una profondità da 150 a 190 metri. Da questo “isolotto” in un paio di anni si sono estratti 7.120 tonnellate di corallo.La pesca del corallo fu fatta da barche di Sciacca e di Trapani e distribuì ricchezza a molte famiglie,basti pensare che per… l'isuluni… ci lavoravano 970 barche con quasi 10.000 pescatori .Il corallo, da Sciacca a tutto il litorale Trapanese, ha una principale caratteristica che lo rende unico, raro e riconoscibile : il colore rosa salmone, con gradazioni sino al colore arancio !.......e mentre gli occhi della bella Irene si perdevano nel vuoto tra pensieri ….e preoccupazioni, finita la dotta illustrazione-video della bravissima Valera Li Vigni, sul palco si “insediava” con il suo immancabile “Paladino Marsala” un “funzionario provinciale”, con una serie di bottiglie di buon Marsala, che tra una battuta e l’altra, dava ….”comunicazione” d’aver firmato, purtroppo, proprio lui, la….. chiusura dell’Istituto del Design del corallo” di Trapani….: così, a settembre gli stipendi dei lavoratori delle province e delle partecipate, potrebbero essere a rischio e con essi molti dei servizi erogati da questi enti, a partire da quelli scolastici. …”Licei linguistici provinciali, licei musicali, scuole per ottici e corallai…non riprenderebbero le attività, lasciando a casa il personale ed anche migliaia di studenti che andrrbbero a disperdersi tra i meandri “dell’ozio” e… del dolce far nulla !…….e u populu s’addumanna : ….“ ma picchì ? “- ….bella domanda vero !


Bertu Ammareddu
di Vincenzo Licata n.1906 / m.1996
(con un grazie al nipote Dr.Nino Randazzo
Presisente del premio Poesia in vernacolo
alla memoria del Nonno )

Vosi assummari pi pigghiari ciatu,
cu ddu tisoru di lu nostru mari.
E a bordu chi l'avianu p'anniatu,
quann'è chi si lu vittiru affacciari
gridaru tutti:"Si misi a cavaddu!
Bertu Ammareddu truvau lu curaddu!

Ci fu na festa in tutta la marina,
e la notizia si spargiu luntana.
S'armau la nova varca curallina,
la Trapanisa e la Napulitana;
Turri di Grecu fici la Regina,
chi si jinchiu la varca sana-sana;
ma la midagghia di la bedda Tina
Ristau 'n-funnu a la Sicca Sciacchitana.


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venerdì 2 agosto 2013




Nello Stagnone....: il pesce più buono del mondo ! (parola di Re ! )


……era il “cuntu” che u Zzì Cicciu era costretto a ….-cedendo spesso alle richieste dei ragazzi , raccontare-gettonatissimo-, (come un film che si rivede sempre con piacere….) e, credo, che la spiegazione è da ricercarsi nel lieto fine struggente o….se volete commovente. Ho dovuto ricordarlo rielaborandolo in…..italiano, non senza precisare che è sicuramente impossibile “riportarne” l’estro, il brio, la grinta e…la passione che il “cuntista birgialoru” trasmetteva attraverso la sua …scoppiettante, coinvolgente esposizione. Ecco….vediamolo lì, arrampicato sul suo “vanchiteddu”, cominciare….: un pocu di “parrapicca” !….. Aviti a sapiri, che una volta c’era un pescatore dello Stagnone, sfortunato….. aveva sei figli e la moglie a carico, soldi picca e pitittu assai ! La mattina si alzava presto, e andava a mare. Un giorno la rete sembrava pesante, e tira, tira ci trovò una testa di sceccu. L’indomani, di nuovo, la rete sembrava pesante e tira, tira trovò una giara con un tappo di sughero. Non gli parve vero ! Tolse il tappo, sperando di trovarci “maregne d’oro”, ed invece ne uscì un uomo arrabbiato. “Perchè mi hai svegliato?” gli domandò. ….“E, tu, chi cci fai chiusu dduocu ?” Rispose il pescatore. “Mi chiuse una strega, e per esser libero, al posto mio… vacci tu!” Finita la frase, il pescatore finì dentro la giara, e quello la tappò, ridendo. Il pescatore si sentì perduto ma la disperazione gli aguzzò l’ingegno. “Come hai fatto? Fammi vedere? Quando mi dovrò liberare io voglio sapere bene come fare! Tu sei stato bravo, bravo assai !” Quello ci cadde, come un “un piru sfattu” ! Aprì il tappo, ed il pescatore uscì. Appena fuori, con prontezza disse : ”Al posto mio vacci tu!” L’omone finì dentro, il pescatore chiuse, e ributtò la giara in mare…..doppu “Cinniddisa” (Santo Maria)-. “Che sfortuna – pensò – fino a quando pesco teste d’asino, passi.....ma, stamattina sono vivo per miracolo......” Ed a mani vuote, se ne tornò a casa. L’indomani mattina, presto, buttò le reti, e aspettò........Nel tirarle su, vide arrivare una cassettina, e si spaventò….... .piano, piano.....si avvicina......e guarda..... Ci trova due piccoli neonati gemellini ! La femmina aveva una stella d’oro in fronte e il maschio un pomo d’oro in mano! Al pescatore fecero tanta pena ! Prese la cassettina e la portò a casa……mentre pensava a come poter sfamare, altre due bocche! La moglie, appena lo vide arrivare con la cassettina, pensò che portasse pesci ! Ma vide i due bambini. “Non ti preoccupare – gli disse – sei e due otto ! Vuol dire che completiamo l’ottava del Signore anzi ringraziamo, puru, a Beddra Matri Mmaculata r’à nostra Chiesa r’è Birgi …. E sai moglie mia : “ u Signuri provvede per quel che vede ! “- Prese con se i due “picciriddi”, e li trattò, come fossero figli suoi. L’indomani mattina il pescatore, tornò a pescare, e la rete era pesante, piena di sicciteddi, trigghiuledda, anciddi, orati, spini..... E così ogni giorno, pescava tanti pesci, li portava al mercato, e guadagnava..... Gli cambiò la sorte! E vivevano felici. Ma, aviti a sientiri !....., lasciamo loro felici, e vi cuntu cu erano i due gimilluzzi…aviti a sientiri ! : La storia comincia in casa di tre sorelle orfane. Queste erano le più belle ragazze del paese e cantavano sempre mentre filavano la lana. La prima cantava: ”Se mi sposo col cuoco del Re, con un chilo di farina, faccio mangiare tutti persino il Re!”- La seconda cantava: “Se mi sposo col sarto del Re, con un metro di stoffa, faccio i vestiti a tutti, persino al Re !”- La terza cantava: ”Se mi sposo col Re, gli faccio due gemelli, una con la stella d’oro in fronte, e l’altro con un pomo d’oro in mano !” Il Re sentendole cantare, le mandò a prendere con le guardie del corpo, e disse loro: “Se quello che cantate, è verità, vi faccio sposare!” E così fu. La prima con un chilo di farina, fece pane per tutti i soldati, e si sposò. La seconda, con un metro di stoffa fece divise per tutti i militari, e si sposò. La terza si sposò, ed aspettava la cicogna. Ora avvenne, che scoppiò la guerra, ed il Re partì, quando ancora il parto non era avvenuto. Le tre sorelle, abitavano nel castello, ma la sposa del Re, era la più ricca. Col tempo le sorelle cominciarono ad invidiarla. Venne il giorno che nacquero i gemelli, le sorelle presero i fratellini, ed ordinarono alla levatrice di ucciderli. Al loro posto ci misero due cagnolini. Tutti sapevano che la moglie del Re, invece di bambini aveva messo al mondo due cagnuleddi. Lo seppe anche il Re in guerra, ed ordinò che la moglie venisse rinchiusa in prigione. Così fu fatto ! La levatrice, però, non ebbe il coraggio di ammazzare i fratellini, così li mise in una cassetta di legno, che affidò al fiume. Torniamo alla casa del pescatore. I figli crescevano, stavano bene, ma un giorno la sorella maggiore litigò con i gemelli, ed arrabbiata disse loro: “Siete schiavi, comprati ….a mare !” I fratellini restarono impressionati, da questa frase, chiesero spiegazioni al padre, il quale raccontò tutta la storia, e saputa la verità, decisero di partire per ritrovare la vera famiglia. Cammina, cammina, trovarono una casetta abbandonata nel bosco, entrarono e cominciarono a vivere là….. Il fratello raccoglieva verdura selvatica, e la vendeva al mercato, la sorella accudiva la casa. Un giorno passò una “fatuzza”, e disse alla sorellina : “ Per esser, più bella, ti devi lavare il viso con l’acqua della verde canna, e per vivere tranquilla, devi procurarti un uccello che parla ! Esso ti darà consigli, ascoltalo sempre !” Detto questo, scomparì. Quando il fratello tornò dal mercato, trovò la sorella sconvolta. “Perchè sei così? Cosa ti è successo?” - La sorella gli raccontò della fata, e lui le rispose: “Io so dov’è l’acqua della verde canna, e per l’uccello, non dubitare, lo troverò” E si mise in cammino. Cammina, cammina.....e ….arrivò in una fontana, d’acqua di verde canna, ne riempì una brocca, e mentre stava montando a cavallo, si posò sulla sua spalla, un uccello parlante: “Io vegnu cu ttia….io vegnu cu ttia…....!” Gli disse…. Contento, se ne tornò a casa. La sorella si lavò il viso, con quell’acqua, e diventò più bella di prima. L’uccello le disse: “Quanto sei bella....quanto sei bella....!” E continuava così la loro vita. Un giorno, il Re, era a caccia in quel bosco, venne un temporale, così forte, che il cielo si oscurò e chiese ospitalità in quella casa. I due fratellini lo fecero entrare, lo fecero mangiare ed asciugare vicino al fuoco. Il Re rimase, sbalordito per l’educazione e la bellezza dei due gemelli, e gli fece tanta pena vederli così poveri….“Vi voglio invitare, da me al castello !” disse . I fratellini accettarono, e smesso di piovere si misero in cammino. Arrivati al castello, le cognate del re, riconobbero i gemelli, capirono che la levatrice non li aveva uccisi, si spaventarono, si sentirono in pericolo e pensarono ad una soluzione. Il Re fece sedere i gemelli a tavola, e si prepararono per fare una bel pranzo. Ma appena seduti, l’uccello si mise a volare intorno ed a parlare: “Quì manca qualcuno....qua manca qualcuno....ci manca la moglie....ci manca la moglie..... “- Il Re ascoltò meravigliato. La sorellina disse: “Maestà. io debbo ubbidire all’uccello, se non c’è vostra moglie, noi ce ne andiamo!” Il Re, sbalordito diede ordini di prendere la moglie dal carcere farla lavare e vestire, e condurla a tavola. La povera donna era magra, come una bastone. Pallida…pallida. Ma era comunque bella! I camerieri portarono da mangiare, ma l’uccello faceva come un pazzo: “Questo no!,,,,questo no.. è avvelenato.....è avvelenato...! Il Re, con gli occhi sgranati, prese un pezzo di carne, e la diede al cane, appena l’assaggiò il cane cadde morto stecchito. Venne chiamato il cuoco ”Maestà, non so niente – disse – cucinò, mia moglie!” Il re fece portare la cognata, e la mise alle strette. Quella parlò e confessò tutta la storia......Il Re, commosso, abbracciò moglie e figli, la famiglia si era riunita! Le cognate furono rinchiuse in carcere. I gemelli tornarono a trovare la famiglia del pescatore…..si abbracciarono tutti contenti, e furono portati a vivere con loro nel castello…….! E, da quel momento le famiglie si riunirono e….. vissero così –tutti insieme- felici e contenti…..e da quel momento lo Stagnone diventò ancora più pescoso ed alla tavola del Re….da allora ci fù sempre il pesce più buono del mondo…..!











venerdì 8 marzo 2013

il Quotidiano di Marsala : "MARSALA c'è "


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Rubrica : "...m'assettu fora a lu lustru di la luna ! "                                                                di franco gambino

.“a Fimmina fà a casa e a Fimmina a sfascia!”

                                                                         in edicola venerdì 8 Marzo 2013 

…… i proverbi derivano dall'esperienza di vita di un popolo . Non ci meraviglieremo se i proverbi siciliani, nei riguardi delle donne siciliane, siano decisamente a loro favore, giungendo ad affermare la loro superiorità sugli uomini.!.....e, l’effettiva superiorità delle donne è confermata dalla tradizione popolare riportata dal proverbio siciliano : “A fìmmina fà, a casa e a fimmina a sfascia”…. mettendo decisamente nelle mani della donna la guida della gestione della casa e della famiglia perché,...com'è noto, è “La buona moglie che fa il buon marito”: e il caso contrario, pare che non si sia mai verificato. Un altro proverbio siciliano dice poi : “abbasta nà fimmina e un tammuru pi fari nà rivoluzioni ! “ e la storia Siciliana ci dice …: fù Vespro siciliano, iniziato a Palermo il 30 marzo 1282, al grido -di “Mora, mora!”- di una donna contro gli odiati invasori francesi; e, ancora a Palermo il 12 gennaio 1848, quando fu una donna, Santa Miloro, a sparare il primo colpo di fucile in quella rivoluzione che durò sedici mesi, ed espulse i Borboni dalla Sicilia; così avvenne a Catania il 31 maggio 1860, quando “Peppa a cannunera” scacciò a colpi di cannone dalla città gli ultimi sostenitori della dinastia borbonica, prima ancora che venisse Garibaldi nella città etnea. Ma il proverbio che esprime e definisce l’indiscutibile superiorità delle donne, è quello che (mi) recitava mia Nonna….sommessamente : “Sunnu l’uomini a fari i fatti…ma sunnu i Fimmini a fari l’uomini !”. Accennata quindi l’effettiva superiorità delle donne sugli uomini, credo che sbaglierebbe chi pensasse che esse esercitino, in maniera insolente o irrispettosa, questa loro evidente supremazia: perché esse hanno saputo esprimerla ( e la esprimono) in maniera raffinata con intelligente tattica . Ricordando Martoglio in uno dei suoi sonetti (n.d.r. “Centona”- Orlando e Rinaldo con Angelica) riporta un vecchio detto Siciliano “ Tira cchiù un pilu di Fimmina ca una parigghia di voi (buoi)”…..! e la loro discrezione, la loro dolcezza, il loro rispetto sono tali che in qualunque decisione “ufficiale” la brava madre di famiglia non perde tempo a prendere la sua decisione….(….si farà certamente come lei dice …)…..ma nel suo signorile comportamento affiora il tatto , l’equilibrio : “….quantu ci ni parru cu mmé maritu! “.e lo stesso comportamento assume davanti alle richieste dei figli, con la frase che tutti conosciamo bene :«Viremu chi nni rici u Papà!».. Anticamente il ragazzo innamorato di una bella fanciulla si confidava riservatamente con la propria mamma e, se essa approvava la sua scelta, era Lei stessa che si recava “di nascosto, dalla futura “cummari” per parlare, in maniera figurata….. dell’avvenimento, e la frase ricorrente era……” Gnà Rusidda , chi ffà l’aviti un pettini di…. si-dìci ?(sedici denti) “ ….in cui il “sidìci” lasciava intendere “ Siti d’accordo a diri di sì a stu matrimoniu pi vostra figghia ? “- Se a Gna Rusidda era favorevole rispondeva con enfasi, che…..”aveva un bellu pettini di si-dici” – era dunque disposta con piacere al matrimonio. Ma se la proposta non era gradita, rispondeva c’ù mussu strittu : “Nò gna Cuncetta, mi dispiaci , l’ aju sulu di nò-vi “ – Il no era stato detto diplomaticamente chiaro e tondo…..e alla fine, le donne, avevano parlato solo di….pettini, mai di matrimonio! Se non è intelligenza questa ! Ho voluto descrivere la Donna ….se ci badate bene…. in maniera “costruttiva” , ricordando che tutto ciò fa parte della “festa” che ricorre -.a mio avviso- …..“ogni giorno dell’anno” (!) , sempre che Lei lo voglia….perchè, per la seconda parte del proverbio, credo che la Saggezza, l’Amabilità, la Prudenza , come una volta, alcune donne, dovrebbero (soprattutto oggi !!! ) metterle in atto per non “sfasciare” o “far sfasciare” o far si che altre/i sfascino” le… “loro” case.! Il ruolo della Donna – nella storia, nella società, nel lavoro e nella famiglia – è così importante che va ben oltre il giorno 8 marzo, considerato che sono le donne a migliorare, giorno per giorno, una società che rischia di perdere i valori e, con essi le proprie tradizioni ed il rispetto reciproco…….Jamu al Cuntu di oggi ? silenzio tutti….sintiti, sintiti… eccomi…. dunqui, r’unni accuminciamu ? ah, sissignora……. :…. C'era una volta un sacerdote che aveva una statua della Madonna in casa. Una sera, una persona dispirata, che aveva una picciridda neonata, l’abbandonò a casa di questo sacerdote. Il sacerdote, uscendo per celebrare la messa, vide fuori della porta un cesto con dentro la piccola bimba. Subito a trasiu, la rifocillò e portò il cesto vicino alla statua della Madonna e le raccomandò di guardarla e di aiutarla a farla crescere bene. Maria, fu il nome che la Madonna dette a picciridda, propriu comu a idda ! Con la piccola, la Madonna parlava, la consigliava e la istruiva... Maria cresceva bella e buona. Un giorno il sacerdote s'innamorò di lei perdutamente e voleva sposarla. Maria piangeva e chiese alla Madonna di aiutarla. Una sera la Madonna si trasformò in vecchietta e accompagnò la ragazza al palazzo reale per trovarle un lavoro e toglierla da…… ogni tentazione. La Regina disse: - Mi spiace, ma non c'è lavoro!....e la Madonna:- Neanche per accudire al pollaio ? ….così, Maria restò a corte e accudiva con amore alle galline della Regina.. Il Principe, un giorno, passando accanto al pollaio, volle sapere come si chiamava quella bella fanciulla e come si trovasse lì. Ebbe proprio dalla Regina tutte le spiegazioni. Passarono giorni e la Regina, a poco a poco, scoprì che Maria era una brava ricamatrice e le fece ricamare i fazzoletti del corredo del figlio. Poi le fece ricamare anche le camice del Principe. L'amore con cui Maria lavorava le cose del Principe trasformava i capi di vestiario in capolavori di ricamo: cascate di fiori, scene di caccia, animali e frutti che sembravano veri... Il principe rimaneva incantato da tanto gusto e tanta capacità. Alla fine la regina le commissionò l'abito nuziale della futura sposa del Principe. Maria lo coprì di così struggenti immagini……fatte di albe e tramonti, stelle e cascate, scene di Amore così palpitanti, che il principe s’innamorò perdutamente di Lei, e volle sposarsi con quella povera ragazza ( Maria ), capace di vedere il mondo con occhi così pieni d'amore. Si sposarono e vissero felici e contenti, ebbero tanti figli…e…..u Principinu s’abbrazzau la Sposa…..e nuatri, alluccùti….. tinemu mmanu, cuntenti , a beddra….. Mimosa !


il Canto :
Iu pi li fimmini la vita rugnu
Raccolta F.P.Frontini
“Eco della Sicilia”
50 Canti Popolari Siciliani
Epoca fine 800’

Iu pi li fimmini la vita rugnu,
tutti mi dicinu ca pazzu sugnu.
Giria e vota mettu pinseri,
sugnu simpaticu, cercu muggheri.
Iu pri li fimmini su' a la strania,
tutti s'azzuffanu ca vonnu a mia.
Giria e vota mettu pinseri,
sugnu simpaticu, cercu muggheri.
Iu pri li fimmini cantu a la notti,
tutti mi grapinu finestri e porti.
Giria e vota mettu pinseri,
sugnu simpaticu, cercu muggheri

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venerdì 22 febbraio 2013

dal Quotidiano di Marsala ......"Marsala c'è"










...Amunì ...trasemu stù muortu!

VENERDI' 22-Febbraio 2013......in edicola !
                                                                                                                    a cura di franco gambino
……come le nascite erano numerosissime, anche i decessi erano numerosi….. ma, a differenza delle prime gioiose ed allegre, questi erano una vera disgrazia, una perdita irreparabile che si ripercuoteva sulla famiglia per anni, specie se a morire era il capo famiglia. Non era raro nel silenzio della notte profonda sentire invocazioni da accapponare la pelle, strilli di donne che piangevano. Era un dovere svegliare il marito, il padre, il fratello per andare a vedere da dove venivano le invocazioni ,...ci si affacciava alla finestra per cercare di capire. Altre finestre si aprivano per la stessa ragione ed alla luce della notte si potevano scorgere sagome di persone che, anch’esse attratte dai lamenti, cercavano di capire cosa fosse successo. Cercando di individuare da quale direzione arrivassero, si incominciava ad avere qualche sospetto, mentre altre finestre si aprivano: “chi cc'è ? cu jetta vuci, murìu quarcunu?”. Qualche audace già era uscito per la strada e, i sospetti erano giusti: era morto u Zzù…. Giammitru ! Vestìti alla meglio, con gli occhi ancora dormienti ed i capelli arruffati, i vicini si recavano a portare aiuto e conforto ai congiunti.. Alla tenue luce del lume i maschi incominciavano a vestire e preparare la salma da comporre su un lettino sistemato in mezzo alla stanza; le donne confortavano i familiari, specie quelle di sesso femminile, che oltre ad invocare, si percuotevano, si tiravano i capelli. La luce del mattino trovava una famiglia in preda al dolore…. tutte le donne vestite di nero, la testa coperta da un fazzoletto nero, legato dietro la nuca o sotto il mento, se ne stavano in un angolo a fianco della salma a gridare ed a decantare le gesta, la bontà, le parti migliori del carattere del caro defunto. Non era raro vedere la moglie che si “batteva sulle cosce”, sulle guance, quasi a voler sottolineare la sofferenza : “….…a culuonna r’à casa iera ! comu fazzu uora... cu cci duna a manciari a sti picciriddi !...chi famiglia sfurtunata... ! …... bbeddu maritu miu…..taliatilu, pari “capodimonte”, …..comu fazzu senza di tiia...!! ”….Lamintanzi, cantilene miste a pianto, che coinvolgevano i presenti, stimolando la compassione, la solidarietà, rattristando i cuori , fino al pianto. In Chiesa, durante la funzione religiosa, le grida dei dolenti non finivano si placavano e riprendevano, ad intermittenza, subito dopo, provocando le reazioni del prete che con lo sguardo accigliato richiamava tutti alla compostezza. All’ uscita dalla Chiesa si procedeva a comporre il corteo per accompagnare la salma al cimitero. Durante questo percorso tra le grida ed il pianto straziante si coinvolgevano i passanti che sempre più numerosi si accodavano al feretro. Quando il funerale era fatto a persone benestanti , nobili o…..“alto-locate” i ragazzi ( “affittati”…. al bisogno) portavano decine di corone di fiori , disponendosi a destra ed a sinistra, precedendo i bambini dell’orfanotrofio (-guidati dalle rigorosissime monache-) che, ininterrottamente, per tutto il percorso, recitavano le stesse interminabili preghiere davanti alla bara. A volte, per dare pìù importanza al…”Corteo”, un uomo (anche lui …”affittato” ) in completo abito nero precedeva tutto il corteo portando sulle braccia un cuscino sul quale era posto un gagliardetto di qualche, circolo-club… “nobiliare”, o associazione religiosa a cui il defunto apparteneva. A 50 metri dal cimitero il corteo si fermava. L’aria si riempiva, nuovamente –come a comando- di pianti e strazianti invocazioni dei parenti, i quali, guidati da un “improvvisato cerimoniere”, faceva disporre su una fila , i dolenti familiari . Qui cominciava il rituale “discorso” (se trattavasi, come dicevo, di una persona “alto-locata” o un nobile….) in genere pronunziato dalla persona più ….”ntisa del luogo” i cui contenuti sgrammaticati ed…inconsistenti venivano, ad un certo punto -come àncora di salvataggio- interrotti dal prete che pronunziava la solita frase : “ ….Amunì, trasemu stu muortu !” . Iniziava così il rituale del ringraziamento….. infinito : “Cordoglianzi…mi dispiaci… cordoglianzi mi dispiaci !”…..vasa e vasa…..vasa e vasa…..vasa e vasa….Terminate le “cordoglianze” restavano i parenti, gli amici intimi ed i vicini …r’ù latu. L’ormai piccolo corteo entrava al cimitero. Qui avveniva l’ultimo saluto alla salma, tra le grida dei parenti che abbracciavano la bara quasi a voler….. rianimare il defunto! Dopo numerosi tentativi, facilitati anche dalla stanchezza, gli amici staccavano i familiari e li inducevano a ritornare a casa. Arrivati sottocasa l’ultimo saluto alle persone che li avevano accompagnati fino alla fine. Si mettevano uno accanto all'altro e con il corpo e l'animo distrutti davano la mano e ringraziavano con un filo di voce, spesso stando seduti, specie la vedova o la vecchia madre. Ecco….si preparavano tutti all’ormai fatidico (atteso) “cunsulatu” ! Era buona usanza che, durante i primi adempimenti dopo gli attimi della morte, tra i vicini ed i parenti, come ad una sensibile testimonianza d’affetto, si stabilisse l’elenco dei giorni e dei prescelti, in una sorta di gara, per dare corso alla “rito” del cunsulatu, che durava una settimana o 15 giorni a seconda dell’importanza …r’ù muortu ! Il cunsulatu era una sorta di “tavula franca” che permetteva ai parenti più intimi –tutti uniti-…. di chiudere la cucina in segno di lutto. I prescelti oltre al giorno assegnato si “accordavano” sul menù – che andava dalla colazione mattutina, al pranzo ed alla cena. Era consuetudine che il vicino di casa ….cchiù strittu, iniziasse con i “galli” in brodo con i maltagliati per pranzo ed alla sera con cotoletta panata ed un’insalata di rinforzo. Il vino abbondante serviva ad attenuare il dispiacere…e non poteva mancare il dolce e lo stravecchio ! Specie i primi giorni , la/il vedova/o si facevano pregare e non si alzavano facilmente dalla riunione funebre, in altra stanza, necessaria per il ricevimento delle visite…..! ….interveniva, ad un certo punto, uno dei più “aitanti” parenti che con fare energico diceva : “ Amunì …..ora basta chianciri, nn’aviti a scusari , a facemu manciari un pocu….un pò stari diuna accussì….Amuninni Rosetta….! “ – a questo punto “Rosetta” dimenandosi e piagnucolante….gridava : “ …..a culuonna r’à casa iera ! un mancia iddru e un manciu mancu ju !.....basta ! “ …..e qui, veniva presa, quasi di peso e portata nella sala da pranzo dove sulla tavola c’era già la “zuppiera” dei maltagliati con “i galli” ed il bollito nel brodo (con cannella ! ) fumante……e tutt’intorno riuniti i numerosi parenti ed amici più vicini. Come…. “di punto in bianco” si iniziava il rito dei ricordi mangiando, mangiando……finivano i pianti e le lacrime e si dava fondo al pranzo ( in genere preparato per il doppio del numero delle persone preventivate)……E già !.... ma era il cunsulatu ovvero ….il banchetto….. con il morto ! …anche questa…. la mia vecchia Sicilia !

il canto allegato
Ca nun si sà la Morti ...quannu veni...
G.Pitrè- da Canti Morali e Religiosi- (bello !)
Vol.II° n. 979- Si cantava nella Quaresima
…Accompagnato dai prefici per le lamintanzi
E stamucci avirtenti, o Cristiani
Pi ll’arma nostra pinsamucci beni
No nun semu piccaturi o vani
Chi nun si sa la Morti quannu veni.
L’eternu Diu nni voli sarvi e sani,
vol’essiri amatu comu summu beni,
quannu sonanu l’appellu li campani,
N sà si p’un fernu la sintenza veni.
Lu bonu stari a stu munnu è un mumentu
Pazzu pi ccù si senti aggramagghiatu,
miatu cu si trova di talentu
essiri spissu e bonu cunfissatu.
Cc’è chiddu chi ama lu divertimentu
Teni lu spassu e lu piaciri a latu….
A lu puntu di morti è un gran spaventu
Pi ccù si trova in eternu dannatu
Lasssamulu ognedunu lu piccatu,
amamulu a lu nostru Redenturi,
chi fu lu veru Diu, Verbu ‘ncarnatu
chi morsi pi nnuatri piccaturi.
Pi nnui morsi a la Cruci sfracilla
Ncurunatu di spini lu Signuri
La Matri Santa ci stesi a lu latu
Oh quantu nni patiu peni e duluri.
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venerdì 8 febbraio 2013

Marsala c'è : il QUOTIDIANO DI MARSALA



…Don Saruzzu, sugnu tutta pi vvui! …
                                             aspettando Carnevale! ...


in edicola  VENERDI' 08 Febbraio 2013

….“intratteniamoci” con una storiella che nei tempi andati, pare, sia rimasta per molto tempo nella mente e….”nella bocca” di molti !.......Per mio conto, l’ho appresa durante i miei “trascorsi bancari”, ed ora (un po’) riveduta e corretta (con nomi di fantasia) la propongo….nell’attesa che…appaiano le maschere ! ….ma, sintiti u fattu !....epoca : dicono….anni 50’ : Immacolata, Annunziata e Addolorata erano tre sorelle.. Mentre Immacolata un s’avia maritatu (…. perché, molto religiosa, pare,... volesse restare fedele al suo nome….ch’era tutto un programma ! ), le altre due, Annunziata e Addolorata si erano sposate. Delle tre, Annunziata era una beddra fimminuna e aveva un’aria intelligente ma, “aciddiava un poco”, anche se nei limiti, cominciando dal suo nome: si faceva chiamare infatti Nunziatina . Addolorata, meno bella, aveva provato anche lei, dietro suggerimento (r’à suriella ! ) a correggersi il nome, facendosi chiamare….”Dolores” ma con scarsi risultati…..dato che a Finuzzu, suo marito (un uomo “urdinariu”…), un ci putieva “appaciri” ! - Nunziatina, invece aveva fatto un “bellu matrimoniu”…si era sposata con un dentista di nome Saruzzu (nciuriatu “Scagghiazzi” ) e si può dire che la loro unione fosse serena e felice, con tre bei figli. Ma, comu dicevanu –puru- i “Ciulluvii”, nei discorsi del Circolo….: ” l’uomo a quarant’anni….si stanca di una vita monotona…-pani e tumazzu- ovvero…..Casa, lavoro e preghiera !“…..picchì, dopo quindici anni di matrimonio, ” cc’è bisogno di qualche ‘vintiata nuova’ “.e, questo pensava Saruzzu ! E non è che Nunziatina non “fussi cavura”, ma il marito forse aveva bisogno di un “vuccunieddu extra” . Per questo s’avia un pocu arrifriddatu con la moglie e i loro rapporti erano ….fermi : e, iddru dicieva….. ca era tutta colpa dell’eccessivo lavoro che lo rendeva senza forze, sfinito, con evidente delusione per la moglie, Nunziatina. - Fu così, dunque, che la stessa Nunziatina, una sera che lo vide più stanco e apatico, gli suggerì di recarsi qualche volta al Carnevale di “Saleme”, dove si poteva sbariari un pocu ! Infatti negli anni 50 a “Saleme” per Carnevale, la gente pareva impazzita. Quasi tutto il paese ogni sera, da fine gennaio alla fine del Carnevale, si trasformava in un’enorme balera, dove si abballava all’aperto, nella piazza e nelle strade adiacenti, sotto le luci e al ritmo delle musiche diffuse, attraverso altoparlanti a campana, da orchestrine che si alternavano ,tutto sponsorizzato dai Bar locali in mezzo a nuvole di coriandoli e stelle filanti, mentre certi “ragazzuoli” facevano scherzi lanciando borotalco o acqua saponata….. cà pumpietta ! In quei giorni si doveva far baldoria, con maschera o senza maschera ed il ballo era il re della festa.. Attenzione, però: chi non aveva neanche un segno del …”Carnevale”, come ad esempio una mascherina o un nasone con baffi, poteva essere “attaccato” da buontemponi mascherati e costretto a pagare “la vivuta al bar” o una consumazione. Occorre precisare che la parte principale la svolgevano le donne in maschera, che, dopo…. mesi di reclusione, erano finalmente libere di mascherarsi e di andare ad “impegnare” l’uomo che più le attraeva, trattenendolo tutta la serata, o dandogli appuntamenti veri o falsi, permettendogli qualche piccola “avance”, lasciando il “fortunato” nel dubbio della loro identità che lo avrebbe tormentato a lungo: “Chi era? ”. Nonostante …. alcune si lamentassero di qualche….“trasgressione” di coppiette che si appartavano nei vicoli, tutto era giustificato dal fatto che era Carnevale….all’insegna del divertimento. Una sera, dunque, Saruzzu si recò a quel Carnevale e non gli fu facile convincere quel semplicione di suo cognato, Finuzzu ad andare con lui…… gli aveva prospettato l’ipotesi di qualche avventura, sempre gradita: per evitare di pagare ai buontemponi, bastava portare in testa una vecchio cappello ed una bella maschera. Saruzzu e Finuzzu partirono per “Saleme” con la moto “Guzzino” di Saruzzu. Ma poco dopo li seguirono (insospettate), anche, Nunziatina e Addolorata, con la Topolino nuova di Finuzzu. Per fortuna Nunziatina sapeva guidare. Il piano di queste donne era ben congegnato: “impegnare” i mariti senza farsi riconoscere e verificarne….la fedeltà. Per questo, nel mascherarsi, avevano cercato tutti gli accorgimenti per non farsi riconoscere: Nunziatina rendendosi più carina, con l’addolcire e riempire le sue forme….. Addolorata rendendosi più…intrigante con un vestiario da….strada…., stafalarieggiante ! . L’avventura di Fiunuzzu durò ben poco. Dopo alcuni balli e uno strano,languido ammiccamento, Addolorata lo condusse in un vicolo, dove lui non seppe tenere le mani a posto, e,convinto di essere arrivato……dicendo fra se : “Ccì siemu ! “, si trovò, invece, a tu per tu con la moglie e ne ebbe graffi e ceffoni dei più feroci, con la minaccia di conseguenze peggiori se si fosse permesso, lui sposo e…. ancora senza figli, di pensare di fare un decimo di quello che aveva tentato di fare quella sera. E guai se avesse accennato a chicchessia, compresi i cognati, della disavventura di quella sera. Sicché il poveraccio acquistò ad una bancarella un’altra maschera, se la mise in faccia, per non far vedere gli occhi neri ed i segnali della “capuliata” ed attese Saruzzu…. tornò a casa mogio mogio raccontandogli di essere stato preso in giro da un uomo travestito da donna (cosa che provocò ripetute risate e sberleffi…!! .) e di quel Carnevale -per la vita- non volle più sentirne parlare ! Per Nunziatina le cose andarono diversamente. Dopo la prima serata di approccio, di fugaci sorrisi e di vaghi intendimenti, lei tornò quasi tutte le sere a quel Carnevale. Metteva a letto i bambini, per altro custoditi dalla sorella…. Immacolatella, e partiva con la solita Topolino. Dopo l’incidente fra Finuzzu e Addolorata, da questa stessa riferitole, aveva dovuto pregare la cugina… Liberatuccia, di accompagnarla, perché non stava bene che una donna uscisse da sola , specialmente di sera e per andare in un altro paese. Nunziatina aveva sempre lo stesso costume: un domino nero con ricamato un grosso ragno sulla schiena, una maschera di cartapesta scura, il cappuccio in testa, guanti di lana grigi. Nel suo comportamento sapeva contraffarre voce e gesti in modo tale che a Saruzzu diventava impossibile supporre chi era la Dama. Gl’incontri serali duravano non più di mezz’ora….. il tempo di eccitare il cavaliere, divenuto gentile e mammalucchinu con lei..che tutto contento rivolgendosi alle “maschere” che ballavano ripeteva : “ …e ssù minni !” e tutti in coro a rispondere : ….”cci jamu a casa ! “ ! Subito dopo, lei ripartiva di corsa, per giungere a casa prima del marito. Tutto andò bene ogni sera, come aveva previsto Nunziatina, e presto si sviluppò un…..“romantico amore” fra il dentista e la….. sconosciuta, la quale aveva promesso di svelarsi l’ultima sera. Intanto Saruzzu non faceva che ringraziare il cielo per la fortuna che gli era capitata, lodando le “forme....”, il fare ed il “caldo amore” della sconosciuta. L’ultimo giorno di Carnevale, Saruzzu, chiese alla moglie se volesse andare a vedere i carri allegorici. In caso affermativo pensava di accompagnarla e poi rientrare prima di sera: e ciò, per dimostrare un certo interesse per lei. Ma la moglie rispose di non avere voglia; e poi doveva badare ai bambini. Così lui partì un po’ prima, sperando nella rivelazione finale della sua dama. Ma quella sera lei non venne. Saruzzu non sapeva che pensare. Attese fino a mezzanotte, assistendo in piazza alla “cremazione” di Re Carnevale in mezzo ad una calca “commossa”, e poi, inforcando il suo “Guzzino”, prese la via di Matarocco . “Peccato, però, pensava : “ Proprio l’ultima sera……un sogno finito male !”. Invece la sua dama la trovò a casa, seduta sulla poltrona, in camera, col costume di ogni sera indosso e la maschera di cartapesta rovesciata sul letto. Proprio lei…..e rabbrividì…….” Tu? “… “ Sì, si, si proprio io ! “ disse con un vello di tristezza Nunziatina. Qui non ci furono ceffoni o “vuci”, ma una lunga chiarificazione. Poi, come i….. salmi, tutto finì in ……gloria . “Quanto sono stato minchione ! , pensava Saruzzu sul letto.. Avevo in casa una donna così ben fatta e così intelligente, e me ne sono accorto fuori casa. Meno male…. mi finiu buona !”. Da allora in poi non trascurò più sua moglie, apprezzando di volta in volta le carezze e l’affetto che lei sapeva offrirgli. Presto nacque un’altra figlia, che fu chiamata Ninfetta, forse per ….non andare fuori tema con i nomi, tra le donne della famiglia !
E ora….stamu attenti, mi raccumannu……! Che sia un Carnevale……divertevole !

da ...Carnascialate
Racc.Ampl.ma Canti Popolari
L.Vigo – n.4300 - pag.607 - Epoca 700’
Origine - Palermo

Haju un pitittu ca mi manciria
Tuttu lu pani c’havi lu furnaru
Pi cumpamaggiu mi cci addubbiria
Un pisciteddu di menzu cantaru
Mi manciria un porcu cu tutti li pila
Mi manciria crasti cu tutta la lana
E ancora la mè panza nun è china
Mi abbatti comu un toccu di campana !

                                                                                 















sabato 2 febbraio 2013

liggitivillu.....




   




                                              

...p’à Canniluora: “a addrina fà l’uova e ò addru cci abbrucia u... - il sedere -”


VENERDI' 1 Febbraio 2013

….….P’à “Candelora” dell’inverno semu fuora…..ma si la sai cuntari n’avutri 40 jorna annu a passari !“ In passato, in questo detto popolare, i contadini delle nostre campagne sintetizzavano quello che realmente rappresenta la festa della Candelora: “l’augurio” di un’inizio di quel breve periodo che è l’anticamera della primavera, con temperature miti e sempre più scarse precipitazioni. Ma la Candelora, prima di tutto, è una festa esclusivamente religiosa ovvero la Presentazione di Gesù al...Tempio. La festa è anche detta della “Purificazione di Maria”, perché, secondo l'usanza ebraica, una donna era considerata impura per un periodo di quaranta giorni dopo il parto di un maschio e doveva andare al Tempio per purificarsi :…. il 2 febbraio ricade appunto quaranta giorni dopo il 25 dicembre, giorno della nascita di Gesù. La ricorrenza prevede la benedizione delle candele, simbolo di Cristo "Luce per illuminare le Genti", come il piccolo Gesù venne chiamato da Simeone. La Candelora era una festa molto sentita e cara a tutta la comunità di Birgi, che, anticamente, si ritrovava compatta nella Chiesa dell’Immacolata, dove le celebrazioni religiose avevano inizio già dal primo mattino e continuavano fino alle 17.30, con la tradizionale benedizione delle Candele. I Parroci che si sono alternati da, don Francesco Perrone, Padre Girolamo Promontorio al Can. Giuseppe Milione- presiedevano la solenne Celebrazione Eucaristica e, subito dopo unitamente ai componenti della Deputazione –unita (!)- ed ai tanti fedeli che portavano in mano la candela accesa- simbolo di questa giornata-, facevano il giro del circondario attorno alla Chiesa.( riferimenti della Zzì Mummina Montalto….la quale aggiungeva : “P’à Cannilora a addrina fa l’uova e ò addru cci abbrucia u…….”-il sedere- )- . La festa della Candelora era un appuntamento atteso anche dai contadini i quali dalla tradizione si ispiravano ai loro “pronostici meteorologici”. Diceva, infatti, un vecchio proverbio (–del Regno delle Due Sicilie-)….“per la candelora dall'inverno semu fuora, però se è suli o suliciellu ce n'avutru misariellu”. Una famosissima credenza europea, poi, sostiene che, nel giorno della Candelora, l'orso esca dalla tana a vedere che tempo fa : se è nuvolo, con tre salti annuncia finito l'inverno, se è sereno, rientra nella tana prevedendo altri quaranta giorni di freddo. Comunque, contrariamente a quanto si crede, la Candelora è una ricorrenza conosciuta in tutto il mondo ed è diffusa, non solo in molte regioni d’Italia, ma in quasi tutta Europa e persino in America. Ovunque la si festeggi, la funzione è sempre quella di prevedere l’esatto arrivo della Primavera attraverso l’interpretazione dei comportamenti degli animali e delle forze della Natura. La festa termina, dunque, con la benedizione dei ceri; tradizione popolare nata in Oriente, che già nel VII secolo aveva raggiunto Roma con una grande solennità e con riti dal carattere purificatorio. In tutta la Sicilia, nel Cinquecento “per ogni strada” si faceva sfoggio di ceri, torce, e fiaccole a colori. A Trapani, si rievocava, tramite una rappresentazione popolare, la purificazione di Maria. E’ mia convinzione che, oggi, la festa abbia perduto molte delle sue più antiche manifestazioni ancorate alla tradizione. A Roma, tuttavia, l'offerta dei ceri al Papa è sempre una tradizione solenne; il popolo custodisce i ceri benedetti, perché ad essi attribuisce poteri miracolosi, accendendoli a protezione della casa e della famiglia ed esponendoli quando infuria il temporale. Per capire intanto l’importanza dei primi giorni di febbraio…. -giorni discussi e oggetto tra l’altro di proverbiali prestiti con gennaio….. i cosiddetti giorni della merla - basteranno i detti e le leggende o cunti, che ne fanno chiarezza, per interpretare l’andamento climatico della stagione…...ma ecco la leggenda dei tre giorni della “merla”... “…Era un inverno molto rigido. La neve aveva steso un candido tappeto su tutte le strade e i tetti della città. I protagonisti di questa storia sono un merlo, una merla e i loro tre figlioletti. Erano venuti in città sul finire dell'estate e avevano sistemato il loro rifugio su un alto albero nel cortile di un palazzo .. Poi, per l'inverno, avevano trovato casa sotto una gronda al riparo dalla neve che in quell'anno era particolarmente abbondante. Il gelo rendeva difficile trovare le provviste per sfamarsi; il merlo volava da mattina a sera in cerca di becchime per la sua famiglia e perlustrava invano tutti i giardini, i cortili e i balconi dei dintorni. La neve copriva ogni cosa.. Un giorno il merlo decise di volare ai confini di quella nevicata, per trovare un rifugio più mite per la sua famiglia. Intanto continuava a nevicare. La merla, per proteggere i merlottini intirizziti dal freddo, spostò il nido su un tetto vicino, dove fumava un comignolo da cui proveniva un po' di tepore. Tre giorni durò il freddo. E tre giorni stette via il merlo. Quando tornò indietro, quasi non riconosceva più la consorte e i figlioletti : erano diventati tutti neri per il fumo che emanava il camino. Nel primo dì di febbraio comparve finalmente un pallido sole e uscirono tutti dal nido invernale; anche il capofamiglia si era scurito a contatto con la fuliggine.”- Da allora i merli nacquero tutti neri; i merli bianchi diventarono un'eccezione di favola. Gli ultimi tre giorni di gennaio, di solito i più freddi, furono detti i «tre dì della merla» per ricordare l'avventura di questa famigliola di merli. Ma perché si dice, dunque, che questi sono i giorni più freddi dell’inverno ?.... Probabilmente non tutti gli anni lo sono, ma che siano forse tra i più gelidi deve avere tradizionalmente una sua “origine”, se ne è nata appunto quest’altra breve leggenda, il cui protagonista è sempre un merlo : Si dice infatti che….. gennaio aveva ventotto giorni ed era il mese più freddo dell’anno. Giunto al ventottesimo giorno, un merlo, rallegrato, gridò al cielo: “Più non ti curo Domine, che uscito son dal verno”…… Gennaio, gliela fece pagare, vendicò la bestemmia facendosi imprestare tre giorni da febbraio e rendendoli ancora più gelidi ! Ora, miei Cari Lettori…….preparate le Candele, per domani 2 Febbraio….le deporrete sull’altare e dopo la splendida funzione…..le porterete a casa….accendendone una per ogni stanza….. Vi porterà tanta fortuna fino al prossimo…..gennaio ! ….e, con i “le crispelle” o le “crepe’s al miele”! tipici dolci della Festa……Auguro a Tutti ….Buona Candelora !

U Addruzzu
Anonimo Popolare- trascriz. C.Giacchino
Versione Sicilia Orientale (Taormina)
raccolta franco gambino



* L'aviti vistu ' ngnadduzzu cummari,
   ca ora ora passau di cca.
   I ù cu stu iaddu non 'sacciu cc'à fari,
   ca notti e jornu 'npazziri mi fà.

…..Chì, chicchirichi
      ti sentu cantari e non sacciu unni si.

* Cummari mia, sbagghiastivu strata
   ca lu so iaddu 'ssa d'unni pigghiò.
   Circatavillu 'nta nautra cuntrada,
   no di sta strata sicuru passò.

 …..Chì, chicchirichi
       ti sentu cantari e non sacci' unni si.

* Ci pirmittiti cummari ca trasu,
   c'à mia mi pari ca ciauru c'è.
   Au, si sbagghiati vi scippu lu nasu,
   genti cchiù onesta di mia non cci nè.

…ah! trasu...no.. no...
    su 'npugnu di favi ca Turiddu purtò.

* Chi favi ,latra e sfacciata ca siti,
   è lu me iaddu ca ciauru fa.
   A mia linguta, sti cosi diciti,
   ah! se vi pigghiu viniti cchiù cca.

….Chì ! chicchirichi !!
     ci persi lu jaddu e li quattru tari
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venerdì 25 gennaio 2013

Pubblicato su "MARSALA C'è" 25-gennaio-2013
               il Quotidiano di .....MARSALA

                Re Carnalivaru! ...chi fini fici?


VENERDI' 25 Gennaio 2013  in edicola

Che fascino …i cunti di una volta ! rimangono, sicuramente tra le più significative espressioni culturali della nostra tradizione, e vale la pena fare delle ricerche e approfondirne i temi, anche se, a volte, le difficoltà sono veramente notevoli….. Insieme ai pettegolezzi delle contrade marsalesi tenevano banco durante gli incontri conviviali, nelle veglie notturne…. dei morti, e soprattutto durante le calde e afose serate d'estate. Nel “chianu”, la gente si riuniva a cerchio più o meno numerosa, si...sedeva, anche per terra, e per ore si raccontavano a turno “fatti antichi”, avvenimenti più o meno significativi della giornata e poi i fantastici cunti di tutti i generi, fino a quando non arrivava quel "freschetto" notturno che permetteva di andare a letto con qualche probabilità di dormire. Bambini e ragazzi facevano a gara per partecipare a queste riunioni, e tralasciavano i loro giuochi …di strada. Cunti……i loro contenuti pervasi di valori morali, riprendevano in larga parte i temi dominanti nelle favole della tradizione occidentale. L'eterna lotta tra il bene e il male; la principessa o la bella prigioniera di incantesimi; il piccoletto che sconfigge l'omone cattivo; animali che parlano; l'intelligenza che sconfigge la prepotenza ; il dileggiare della “creduloneria” popolare e tanti altri temi che vengono tratti dalla cultura e dall'ambiente nostrano, quasi sempre con elaborazioni e interpretazioni originalissime. I momenti della narrazione e della rappresentazione, erano quelli “dedicati” alle interminabili serate d’inverno trascorse tra parenti ed amici, quasi sempre nelle case degli anziani nonni, attorno al “cufuni” (braciere) quando ancora non c’erano televisione e radio. Quasi sempre, durante l’ascolto, le donne impiegavano il tempo tessendo al telaio, lavorando a maglia, o rammendando, preparando il lievito per il pane. I personaggi e le loro avventure entravano nella mente e nel cuore dei bambini, nella consapevolezza che avrebbero avuto un ruolo importante nella loro formazione, stimolandone la fantasia e animando i loro sogni. C’erano narratori che erano “artisti” del cuntu, a tal punto che la loro rappresentazione durava ore, raccontando e ripetendo…. quasi sempre sollecitati dai bambini stessi. E quando arrivava il momento di andare a letto,il narratore, per chiudere il cunto, senza fare abbassare di tono l’atmosfera che era riuscito a creare, era costretto a ricorrere a qualche “scusa o stratagemma” . In pratica il Cuntu lo faceva concludere, magari dopo essere stato costretto a ripeterlo più volte, quando i genitori, avendo ultimato le loro faccende, per portare i “picciriddi” a nnana. Nel periodo che viviamo……in tema di tradizioni, non va dimenticato il Carnevale di una volta, con i caratteristici giovani vestiti completamente di bianco o nero (domino) e mascherati….indossando sulla testa un cono costruito con il cartone e addobbato con nastrini di carta colorata a formare una bellissima variopinta criniera al vento, mentre scorazzavano per il paese ad inseguire le ragazze che si avventuravano per strada e le inondavano di coriandoli . La maschera più in voga di una volta raffigurava una coppia : “ La Vecchia” ed il “Vecchio”( o u Nannu e a Nanna). La “Vecchia” teneva nella mano sinistra u “cunucchiu e u fusu” e nella destra un’arancia in cui erano conficcate penne di gallina, mentre u “Nannu” teneva in mano (e…suonava) una vecchia Tromba –unisona- presa in prestito dal qualche amico “gilataru”. In genere nei balconi o nelle terrazze veniva esposto un fattoccio di paglia, con gli abiti neri o scuri ed un cappellaccio, con le sembianze di un Vecchio o di una Vecchia e…. nell’ultima notte di Carnevale veniva bruciato tra l’allegria, i canti, le grandi bevute di vino e le danze dei partecipanti alle feste…..in pratica era “l’illusione della sconfitta della morte” ! Ma a proposito di …”morte” Vi voglio raccontare il cuntu preferito dai bambini di allora, in questo periodo….narratore il solito Don Ciccio Bilello…..luogo la grande sala di Donna Pippa Muntiliuni a Baglio Abele e sintiti sintiti…. chi fini fici “ U Re Carnalivaru” …… : Attacca Cicciu ! Re Carnalivaru , suvranu forti e putenti, governava un grandissimo regno con buonsenso e grande spirito di giustizia. I porti rù so palazzu erano sempre aperte e tutti putevanu trasiri nnà sò cucina grandissima, china di cibi prelibati e manciari finu a saziarisi ! Ma i servi invece di essiri priati di avere un Re accussì “sciampagnusu”, sensibile ed altruista, approfittarono del suo buon cuore e, a picca a picca ci pigghiaru tanta cunfirienza , da costringere u poviru Re a non uscire più dal suo palazzo per non essere burlato e deriso, per la sua dabbenaggine festaiola. Iddru , allura chi ffici ? …..si ritirò in…. cucina e, ammucciatu, accuminciò a mangiare e bere in continuazione. Ma un ghiornu….era sabatu….dopo essersi ingozzato più del solito, accuminciò a sintirisi male. Vunciò comu un palluni….a facci russa russa pi ddù gran vinu, capìu, insomma, ca stava pi mmuoriri !...ma era felice ! Però, per la vita che aveva condotto in maniera allegra e sghizzosa….non se ne voleva andare così….sulu e abbannunatu . Si ricordò , Re Carnalivaru, di avere una suoru, una bella fimmina, ma fragile, snella jè delicata . Tutta diversa da Lui, dal nome Quaresima…..che una volta era stata cacciata da corte La mandò a chiamare e lei, generosa, accorse; gli promise di assisterlo e farlo vivere altri tre giorni, domenica, lunedì e martedì, ma in cambio pretese di essere l'erede del regno. Re Carnevale accettò e passò gli ultimi tre giorni della sua vita divertendosi il più possibile, tra balli, canti, musica e manciari e biviri a soddispazione…. Morì la sera del martedì e sul trono, come precedentemente avevano stabilito, salì Quaresima…… pigghiò in mano le redini del regno e governò il popolo con rigore e giustizia…… e, in fondo, con grandi benefici per il suo popolo. Ancora oggi Re Carnevale (–comu puru u Nannu e a Nanna-), entrato così nella tradizione, viene bruciato alla fine dei tre giorni del Carnevale di trasgressione, baldoria e allegria per dare inizio alla….. Quaresima ! –……. nni vuliti cchiù ?

Lu Tistamentu di Re Carnalivari
(ricerca testo a cura dell’Associaz. Teatrale Alia)

(Prologo)
Pi lu joviri di cummari
cunn'avi sordi s'impigna u falari
Pi lu joviri di li parenti
puru cu un mancia si pulizia i renti
Pi lu joviri du zzuppiddu
cuns'ammarra è peggiu pi jddu.
Quannu veni lu gioviddì grassu,
cutini a sarsa e ... stuiti u mussu
Quannu u testamentu senti abbannniari allura finisci carnalivari
Nasciu 'na vota l'annu e all'annu moru
nun haiu patri, matri, frati o soru
sugnu lu personaggiu chiu' sbriusu
nni 'stu munnazzu tintu e fitusu
e nna la me ricurrenza e mai pi casu
poviri e ricchi pigghiu pi lu nasu
tra gran manciati di sasizza e carni
lu vinu si cunsuma a sarmi e sarmi
tra canti, balli a lustru di lanterni
la me carogna e' pronta pi li vermi.
(segue Lu Testamentu )











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domenica 23 dicembre 2012

Buon Natale 2012

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  Un Augurio speciale di PACE e PROSPERITA'.....ai Sigg. Soci della nostra
  ASSOCIAZIONE CULTURALE "PRO BIRGI"

            ed a tutti i Sigg.Visitatori ....del nostro BLOG !

                              BUON   NATALE !!!

                                                                                           Il Presidente ed i Sigg. Componenti il C.A.

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venerdì 30 novembre 2012

Sanpantaliari : chi erano....!

raccolta dati di franco gambino


                -Albero.....dei Sanpantaliari -
                                                                  (genealogico)

                                                      Nino Monteleone (Patri Ninu)
                                                                    

Nino Monteleone sposato con Pulizzi Giuseppa
(Patri Ninu)
Figli maschi:
*Michele ………….morto in guerra= +
*Nicolò sposato con Rallo Giovanna
*Antonino sposato con Parrinello Giovanna (u parrinu Ninu e a parrina Giuvannina)
  di cui figli :
   **Giovanna (Giannina) sposata con Sammartano Giuseppe
   di cui figli : Mario sposato con Vinci Giuseppina ( di cui figli : Giuseppe e Giovanna)
                   Franca sposato con Pellegrino Antonino (di cui figli : Rosita e Giovanna)
    **Filippa sposata con Licari Antonino  (u Capitanu) (di cui figlio Licari Francesco /u Dutturi/–sposato 
        con  Marino  Antonella)

*Francesco sposato con Marino Pasqua
  di cui Figli :
**Antonino sposato con Pulizzi Brigida  di cui figli :Francesco (Cicciareddu)sposato con Genna........... e
    Pasqua  sposata con Giovanni Sgarlata - di cui figli : Vincenzo con Vita Barraco e Nino con.........
                                                                                                                   
Giuseppe ( u Santu Patri)sposato con Passalacqua Giovanna di cui figli 
                                                      Francesco sposato con Ingoglia Rosa (figli  Giuseppe  con Lombardo 
                                                                                                          Angela e Giovanna con Rallo Diego)
                                                      Mario sposato con Monteleone Benedetta (figli Giuseppe e Giovanna)
                                                      Antonino sposato con Giacalone Giacoma (Nuccia) –( figli Loredana e
                                                                                                                                                 Giuseppe)
* Giuseppe sposato con Marino Benedetta
Figlie femmine :

*Benedetta sposata con Amato Vincenzo di cui figli
                    Antonino sposato con ………………………………………… (figlio Pasquale Amato)
                    Salvatore sposato con…………………………………….. ( figlio u Zzi Turi )
*Maricchia sposata con (1° Matrimonio)…………………………………nessun figlio.           
                    sposata con (2° Matrimonio) Tumbarello Antonino di cui figli
                                Benedetta, sposata con …………………(figlia Maria sposata con Nino Parrinello)
                                Andrea, sposato con Amato Vincenza (figli Nino Tumbarello, Maria e Rosa)
                                Diana.
*Filippa (Pippa) sposata con Parrinello Vito di cui figli
               **Giovanna sposata con Monteleone Antonino (vedi figlio Nicolò) di cui figli
                                                                             Giovanna (Giannina) e Filippa (vedi figlio Nicolò )
              **Marietta sposata con Monteleone Antonino di cui figli Giuseppe sposato con Maltese M.Pia
                                                                                                         figli  Maria Grazia, Elena e Nino e
                                                   Vito sposato con Sciacca Franca  figli Teresa sposata con Barraco
                                                                                   Giuseppe – Antonino sposato con Figlioli Isadora
              **Giuseppe  (u ncigneri) sposato con Irene D’Onuifrio di cui figli 
                                                 -Felice sposato con De Stefano Maria Antonietta di cui figli :Irene sposata 
                                                        con Di Girolamo Pietro e Giuseppe  sposato con Martinez Francesca
                                                 -Filippa (Pippa) sposata con Gambino Francesco di cui figli Irene
                                                                                                     e Giuseppe sposato con Zerilli Serenella
                                                 -Vito sposato con Mistretta Rosa di cui figli Elisa e Giovanni

*Anna sposata con Parrinello Gioacchino (fratello di Parrinello Vito) di cui figli Antonietta sposata con
                                                                                                                Bilello Francesco di cui figli
                               Antonino sposato con Aleo Rosalba (figlia Manila sposata con Rizzo Vincenzo ) e
                               AnnaMaria sposata con Sasso Gaspare (figli Laura e Chiara)

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  è gradito da quest'Associazione ogni eventuale commento o 
    rettifica che costituisca un miglioramento o la rettifica di   
         qualche eventuale involontaria  inesattezza - grazie -
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giovedì 29 novembre 2012

Marsala c'è -il Quotidiano di Marsala- Rubrica di Franco Gambino- ....m'assettu fora a lu lustru di la luna "

     “...attentu ca u pueta sbuommica!”
                                                          venerdi  30 Novembre 2012   

…… quando si “ringraziava u Signuri” !..... che è quel particolarissimo rituale, attraverso il quale, i contadini cantavano a turno, disposti a schiera sull’aja - canti religiosi o satirici o storie di Santi -…. storie apprese da fogli volanti e imparate a memoria , secondo i metodi della trasmissione orale, divenendo una parte importantissima della cultura delle classi popolari. Nelle campagne le storie circolavano intere o più spesso a spezzoni: C’è da dire, dunque, che un impronta accomuna...cantastorie, cuntastori, pupari e io aggiungo poeti popolari per tradizione : la lingua siciliana, innanzitutto, (per quanto i pupari usassero prevalentemente l’italiano) e poi la gestualità, il ritmo declamatorio, la voce come strumento, i temi, ed il pubblico. Cantastorie, cuntastori e poeti popolari avevano la stessa….”matrice”: così il “cuntista” mimava il puparo e i pupi, il cantastorie era anche poeta popolare, quest’ultimo esibendosi in pubblico ritmava la voce ed il verso con quella caratteristica cantilena ritmica, che oggi è praticamente scomparsa.. Durante le rassegne (Percorsi Culturali della Memoria –a Marsala-, “Sognando tra le parole” o “Convegno di Poeti Popolari –Petrosino-” ho ascoltato molti poeti popolari - contadini, nelle loro esibizioni, ed ho potuto osservare che i più anziani usano il ritmo della cantilena, mentre i più giovani recitano o leggono soltanto i loro versi. ……”Cu voli puisia vegna in Sicilia / ca porta la bannera di vittoria”. Tra il mio girovagare per la Sicilia posso concordare con quanto affermato da attenti osservatori e cultori delle tradizioni che: “… nella nostra Isola, un posto dove la poesia è di casa è il Paese di Luigi Capuana : Mineo”. Nella storia di questo Paese c’era un certo agonismo negli incontri tra “poeti contadini” in cui il protagonista era il noto personaggio “ Spaccafurnu” di Ispica, che, Poeta (cieco dalla nascita) ….. si diceva, come molti suoi colleghi, discendente da Omero e di lui si raccontavano imprese poetiche straordinarie, fra le quali spiccavano le sfide lanciate a famosi poeti popolari suoi contemporanei : u curatolo Ianu Pauni, e soprattutto il famoso poeta “pirriaturi” Petru Fudduni. Il Pitré a più riprese si occupò di questi poeti popolari pressocchè analfabeti, ma dotati di viva fantasia, di pronta inventiva che hanno declamato in versi la Sicilia attraversi i più svariati temi: l’amore, la religione, i fatti tristi e lieti e, nel suo volume Studi di poesia popolare (vol. 3° della sua Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane), dedicò buona parte del testo alla vita e alle opere di Petru Fudduni. Dopo uno studio approfondito, giunse alle seguenti conclusioni: "Il Petru Fudduni del popolo è un facilissimo improvvisatore, che manifesta, in un verso solo, ogni suo giudizio ed esaurisce in pochi versi, concetti straordinari; l’altro Pietro Fullone, è invece un poeta di riflessione, che conosce e adopera, come ogni altro letterato, la forma nobile e dignitosa". Il mito romantico della poesia popolare, ha condizionato gli studi a lungo e, secondo me, si rimane ancora oggi affascinati da questo mito, la cui creazione è sempre personale e individuale. L’esibizione di questi poeti avveniva in gare poetiche pubbliche, era dunque un vero spettacolo popolare, nel corso delle quali gare, i poeti ricevevano la consacrazione pubblica, mentre essi stessi si sentivano, in questo modo, gratificati. Questi poeti spesso fornivano testi ai cantastorie, come fece a lungo Turiddu Bella a Orazio Strano o a Franco Trincale etc. Rispettati e temuti essi erano investiti di un dono, in certo senso magico: l’intelligente spontaneità !....... e si diceva spesso “attentu ca u pueta sbuommica”…. come dire “esce nel naturale”…. da natura, come dono di Dio .. Mi piace chiudere, per restare in tema…… con un “vecchio” aneddoto (molto noto) tra Petru Fudduni ed il suo Parroco…sintiti : “Petru Fudduni pur essendo un cattolico credente, difficilmente lo si vedeva in chiesa ad assistere alle funzioni religiose, perché la presenza di "monaci e parrini" lo irritava, specialmente dopo la clamorosa lite avuta con l’abate “Canabbaia”, che non lo aveva soddisfatto per un certo lavoro commissionatogli. Malgrado ciò, un rapporto non proprio di amicizia ma di sincera cordialità lo legava al parroco della chiesetta del suo quartiere al Capo, certo padre Nuofrio, suo coetaneo: soggetto estroso e irascibile, che poteva sembrare, per carattere e per comportamento, il fratello gemello del nostro Poeta. Da circa vent’anni padre Nuofrio era alle prese con la traduzione in latino della "Divina Commedia", che considerava il secondo Vangelo, e alla sera attendeva con devozione al lavoro che si proponeva di pubblicare e divulgare prima della sua morte. L’unico compagno dei suoi studi notturni era il fedelissimo gatto "Mattìa" che aveva pazientemente addestrato a tenersi tra le zampette una candela accesa. Se ne stava così l’animale, immobile sul tavolo, accanto a padre Nuofrio, sporgendo di tanto in tanto la linguetta per fare inumidire le dita al suo padrone, quando questi doveva sfogliare le pagine del manoscritto. Mai vista prima d’ora una cosa tanto sorprendente. Una sera assistette a questa scena Petru Fudduni, trovandosi a passare "per caso" dalla casa del prete e osservò il comportamento dell’animale, piuttosto strano e contro natura. Il parroco, orgoglioso dei risultati ottenuti col gatto, disse come, a volte, la scienza riesce a fare dei veri miracoli, modificando le rigide regole della natura, che si piegano davanti all’intelligenza dell’uomo. "Impossibile!" – replicò all’istante Petru Fudduni. La natura non potrà mai essere mutata, e la scienza s’illude di poterla dominare, perché la forza della natura è invincibile, e… "quando la forza con la ragion contrasta, la forza vince e… la ragion non basta!" Da qui ne nacque un’accesa discussione che si placò solo con la promessa, da parte di Petru Fudduni, della prova inversa che avrebbe fornito il giorno appresso. E così, la sera successiva, il poetà si ripresentò a casa di padre Onofrio e si sedette attorno al tavolo, assistendo alla stessa scena del giorno innanzi; il gatto serafico non si distraeva affatto e svolgeva la consueta funzione di "candeliere", dando sempre maggiore prova al suo padrone della sua incontestabile teoria: "la natura dapprima si domina e quindi si asserva" E mentre l’ingenuo parroco era intento a scrivere, Fudduni, non visto, uscì dalla tasca della giacca un topolino che si era portato appresso e che si teneva stretto nel pugno, liberandolo al bordo del tavolo. Il gatto, alla vista del topo, lasciò andare per aria la candela per corrergli dietro, con grande disappunto di padre Nuofrio…… E Fudduni, con un ghigno sulle labbra: "Sempri ‘a natura è chidda ca vinci……Patri Parracu !".


Ricordo del Poeta "Pirriaturi"

di Corrado Tamburino di Mineo,
inviata a L. Vigo,
"La ‘ngrata conca s’invisitau,
ora ca Petru sutta petra jiu,
Petru cu petra sempri si parrau,
la stissa propria petra lu strudiu:
La ‘ngrata morti cu l’arcu tirau,
fu cumannata di l’eternu Diu;
l’urtima petra ca Petru ‘ntagghiau,
pri cummogghiu a la fossa cci sirviu."
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raccolta a Mussomeli
da Paolo Emiliani Giudici
"E’ mortu Petru, ed è Palermu ‘n luttu,
a lu sittanta di milli e secentu!
Cianci Pauni, di Tripi lu ddottu,
la Fata e li pueti a centu a centu!
Apollu stissu lu liutu ha ruttu,
cu lu manìa cchiù lu so strumentu?
Campau affamatu a lu stremu riduttu,
abbattutu di sciauru e di ventu."
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