Associazione Culturale "PRO BIRGI"

Associazione Culturale "PRO BIRGI" per la Valorizzazione e lo Sviluppo di BIRGI e della Sua Riserva Naturale * ___________________________________ BIRGI e lo STAGNONE ! : .....unni l'aceddi ci vannu a cantari e unni li pisci ci fannu l'Amuri ! ________________________________ Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità . Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001

venerdì 30 marzo 2012

Rubrica "Marsala c'è" ....."m'assettu fora a lu lustru di la Luna ! "


 Venerdì ३० marzo  2012
Domenica delle Palme
..................................................................................... u “Patri Parracu” arrivava supra a sciccaredda e si purtavanu i pupi cu ll’uova!
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La Settimana Santa, una delle ricorrenze religiose più sentite in provincia di Trapani (ma anche in tutta la Sicilia…), inizia con la Domenica delle Palme a ricordo dell’entrata di Gesù Cristo in Gerusalemme. .Anticamente la funzione si svolgeva al mattino presto. I fedeli con palme e ramoscelli di ulivo in mano, si radunavano all’inizio della Piazzetta Immacolata –a Birgi-, dove c’era Padre Calogero Cusmano ( poi – a seguire nel tempo- Padre Francesco Perrone, Padre Girolamo Promontorio e Padre...
Giuseppe Milione), in paramenti sacri ad aspettarli e a mettersi a capo di una piccola Processione che, dopo un breve giro delle vie vicine, rientrava nella Chiesa dell’Immacolata, dove durante la S. Messa Pontificale, quella concelebrata con un altro sacerdote, “servita” da un folto numero di chierichetti e cantata, si completava il rito con la benedizione delle Palme. Mi si dice (fonti Sanpantaliare….) che qualche tempo prima, a memoria dei più anziani, il “Patri Parracu” arrivava a cavallo di un’asina, forse, in conformità di quanto si legge nei Vangeli sull’entrata di Gesù a Gerusalemme. Le palme e i ramoscelli, dopo la Benedizione, venivano, poi, portati a casa e conservati in segno di beneaugurante auspicio di benessere familiare. La Pasqua è una festa mobile, cioè senza una data fissa, ricorrente sempre tra le date del 22 marzo e il 25 aprile, secondo calcoli stabiliti. In base a tali regole essa cade nella prima domenica, dopo il plenilunio successivo all’inizio della primavera Nella Tradizione popolare Siciliana già, nella giornata del Giovedì Santo fa la comparsa “u lavureddu”, -piccole “casirie” con teneri germogli di grano o di ceci, fatti crescere al buio su cotone inumidito che verrà portato (il “lavureddu”) in offerta , benedetto e posto ai piedi dell’Altare Maggiore. Tra i riti è da ricordare la visita ai “Santi Sepolcri” che si effettua nelle chiese addobbate con “lavureddi”, fiori e figure religiose ; la sera le strade appaiono affollate da fedeli che si recano da una chiesa all’altra (almeno 3) per una visita ai Santi Sepolcri, come da antica tradizione. Nei grandi centri, ad una certa-tarda- ora, esce, in processione, dalla Chiesa Madre il simulacro della Madonna Addolorata tutta vestita di nero, come si addice ad una Mamma in lutto, con un fazzoletto in mano, come ad asciugare le lacrime ed il viso, estremamente pallido a rispecchiare l’immenso dolore della Madre in cerca del Divino Figliolo . Ricordo che, anticamente, il giovedì ed il venerdì Santo si cantava in coro una triste nenia ( che allego) tramandata per generazioni dalla tradizione popolare. Al di là del suo significato religioso che ci ricorda la passione , morte e resurrezione di Gesù, la Pasqua cristiana, con le sue suggestive cerimonie, è grandissimo motivo di richiamo turistico allo svolgimento dei riti del Giovedì Santo a Marsala e Caltanissetta o ai riti del Venerdì Santo a Trapani o Siviglia in Spagna. Nei piccoli centri o nelle Parrocchie delle nostre Contrade altri riti si succedono, pur non richiamando turisti veri e propri e si offrono agli abitanti e fedeli in genere, particolari motivi di commozione e godimento spirituali. Per quelli che, nati qui, sono stati costretti dal destino a vivere lontano, i festeggiamenti della Pasqua sono motivo di struggente nostalgia e, a volte, inappagato desiderio di rivivere gli antichi momenti di commozione, nel ricordo della partecipazione giovanile a questi riti. . Dovendo riferire della Pasqua di quasi un secolo fa, quando tutto era diverso- a cominciare dagli uomini e dalle cose…( .naturalmente ! ) devo fare notare che, nonostante lo svolgimento fosse, pressochè simile a quello dei nostri giorni, c’era sicuramente qualcosa che ora non c’è più…… come una volta : quel fervore certamente più genuino e più diffuso, specie tra la povera gente…in un mondo che sapeva di antico, privo com’era di tutte le odierne comodità in casa e fuori. Non c’era nemmeno la luce elettrica e la sera le vie erano illuminate dalla fioca luce emanata da torce, poi dai lumi a petrolio, sistemati in alcuni angoli delle principali vie del paese, mentre le vie della povera gente restavano al buio….. ma il popolo cantava con grande fervore i canti religiosi della Passione, tramandati da “madre in figlia”…..mentre oggi pur di rimanere…. “allineati con i tempi” (?) avvertiamo l’uso invalso, di alcune comunità ecclesiali, di musiche moderne nei testi e nelle esecuzioni (rock, pop, etc.) che, secondo me, hanno ormai assunto una dimensione trasversale che dà il sapore del ripiego, del dilettantesco, di una brutta imitazione della musica religiosa , che, scusatemi, sottrae grande valore al magnifico rito liturgico. Dalle cronache di Giuseppe Cocchiara “Quaderni del Museo Etnografico Siciliano-Vol.I° ”……viene riportato “ : “….C’era tanta gente, invecchiata prima del tempo, per gli stenti e il duro lavoro, che il Venerdì Santo, nel ricordo del Cristo morto in croce, dopo aver partecipato con fervore alla piccola Processione ed alla Funzione, stendeva la mano a chiedere un pezzo di pane o un soldino “….e così, anche per loro….. era una Buona Pasqua lo stesso !

 

sabato 24 marzo 2012

l'articolo di Venerdì 23 Marzo 2012 .......da "Marsala c'è" il Quotidiano di Marsala !

(...) Abbiamo capito tutto! PDF Stampa E-mail
Venerdì 23 Marzo 2012 09:12
.La lingua inglese, oggi, si parla in tanti continenti. L’inglese , dunque,  non ha bisogno di parlare per gesti. Gli italiani parlano molti dialetti e gesticolano,  perchè costretti da secoli o da leggi forestiere, o dall’influenza di stranieri dai quali dipendevano. Per la Sicilia l’illustre etnologo G.Pitrè, cerca e trova nella storia, la spiegazione di tanta”gesticolazione” :  “I Siciliani cominciarono a comunicare con i segni, fin dal tempo di Dionisio, tiranno di Siracusa.. Nel V° secolo nuovo...
linguaggio s’introdusse attraverso i Cartaginesi, cui seguirono,  Romani,  Vandali,  Goti, Bizantini, Arabi e  Normanni etc. Il parlar per gesti era più diffuso, allora,  fra classi povere e meno colte, e senza di essi era quasi impossibile esprimersi. Il cocchiere, o il barcajolo, interrogati, spesso….. abbandonano le redini o il remo, a rischio di gravi incidenti, per rispondere con le braccia e le dita e non con la sola parola. Quando finì la rivoluzione del 1821, Re Ferdinando, nel rientrar nella capitale, potè farsi capire dalla folla chiassosa solo a furia di segni. Gli stessi italiani che vengono dal continente, rimangono sorpresi dalle attività e dal linguaggio muto al quale ogni siciliano sostituisce il linguaggio parlato, mettendo in opera tutti gli organi dei sensi e tutti i muscoli della faccia. Ora l’abitudine è ristretta alla classe non colta.. Dice il Pitrè: “Tutta la nazione siciliana è incline ai gesti, un siciliano non può dire la parola più indifferente senza accompagnarla, tutta di seguito, da un gesto espressivo. Prova…….se non sei siciliano, a intenderti con un siciliano per mezzo dei gesti, e resterai nelle secche; perché metà dei ragionamenti e discorsi del siciliano sono muti e mimici; anzi ti accadrà non di rado di sentir cominciare un discorso con le parole e di vederlo compiuto con gesti che suppongono frasi taciute o omesse ….. poi legate  ai gesti medesimi. Il siciliano vero, voglio dire il siciliano nato e vissuto in mezzo al popolo, non parla sempre, non dice tutto, non ti racconta per filo e per segno….. natura lo porta a risparmiare parole quando gli è agevole manifestare con gli atti: e se tu non sei tutto occhi a guardarlo in viso e nelle mani, non intenderai un’acca dei suoi discorsi”.  …ed ancora il Pitrè :…..Il Re, un giorno venne a Palermo e gli riferirono che i Siciliani avevano una virtù tutta propria, quella di fare interi discorsi senza parlare. La cosa gli parve strana, e chiese spiegazioni ad uno dei suoi ministri, il quale gliela confermò pienamente. Incredulo volle farne esperimento, e ordinò che due siciliani gli si conducessero innanzi. Detto fatto: due uomini del popolo, presi alla sprovvista, vennero introdotti nella Regia Sala, presente quel tale ministro. Il re non si accorse di nulla, ma il ministro guardando, con la coda dell’occhio…..si accorse che i due chiamati, guardandosi furtivamente l’un l’altro si facevano delle domande e delle risposte.  Quando a lui parve, fece segno al Re che li licenziasse; ed il Re, che non aveva visto nulla, persuaso che il ministro avesse sbagliato di grosso, li congedò senz’altro. Ma il ministro che ne sapeva più del Re, gli raccontò come per via di segni e di gesti fosse passato tra quei due una specie di dialogo per domandarsi e rispondersi del perché della inattesa e grave chiamata. Il Re stentò a crederci, e dopo averli fatto ritornare,  nel rassicurarli alquanto, volle conoscere se nulla avessero detto, poco innanzi, tra loro, e che cosa; e udendo né più né meno quello che il ministro gli aveva affermato, si meravigliò fortemente di questa virtù dei suoi sudditi di Sicilia e non senza qualche dimostrazione del suo sovrano compiacimento, rimandò alle case loro, i due popolani”. “Sia come sia di questa storiella che racconta il popol nostro…. è indubbio che i Siciliani godono ‘ab antico’ fama di gente espressiva non solo nelle parole, ma, altresì, nei gesti e negli atti. E’ noto che Gerone II (Siracusa, 215 a.C.- fu tiranno di Siracusa dal 270 al 215 a.C.) per impedire le congiure, aveva vietato ai Siracusani di parlar tra loro ed essi furono obbligati a servirsi….. di gesti. Dalla qualcosa non se ne trarrà la ingenua conseguenza che i Siracusani siano gli inventori del parlar per cenni; ma piuttosto che quanto più si scende al mezzogiorno, tanto più si trova sviluppato il linguaggio dei segni, che nel nostro popolo, per la vivezza dei suoi sentimenti, è maggiore che in altri.”…… E concludo con una frase riportata  da A.no  Mongitore (  Della Sicilia ricercata nelle cose più memorabili, 1742-1743 Vol..I°, cap. XVIII, p.45): “Più volte intesi dire, che un Teologo siciliano in Rola, interrogato come parlano gli Angioli in Cielo, egli facetamente rispose:  more siculo, volendo significare, che siccome gli Angeli senza pronunciare, né intender parole, intendono, secondo S. Tommaso, così i Siciliani senza udir parole, intendono a un sol moto”- (……………………………) : ”abbiamo  detto tutto ! “


Tu cali l’occhi, ...ju calu la testa
Canto d’Amore- Epoca 1800-
Palermo Rione Ciaculli-Conte Federico
dalla voce della  Sig.ra Pina Bonomo

Aju li mei né perdu né vinciu
L’avutri fannu arruri e jeu li chianciu
Ninuzzu d’oru  Ninuzzu d’argentu
Iu ti vulissi sempri a lu me cantu
Iu t’aju a ffari un vistitu d’argentu
Tuttu di fila d’oru arraccamatu
Quannu passi di ccà si ssì onestu
Un fa capì alla genti
ca  nui cci amamu
Tu cali l’occhi iu calu la testa
E chistu è signu ca nnì salutamu
Li genti sunnu misi a li rasola
Ca vonnu ca nuatri
dui nnì nni fuemu

venerdì 16 marzo 2012

dal Quotidiano........ "Marsala c'è" di venerdì 16-3-2012

                   ......m'assettu fora a lu lustru di la luna !
                                                    
Storie, racconti, ricordi di una Sicilia
che forse non c'è più
a cura di Franco Gambino
San Giuseppe!
.................con una billissima sfincia (...c’à ricuotta)!
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Scritto da Franco Gambino   
Venerdì 16 Marzo 2012 10:01
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In Sicilia l'alborata era un breve sparo di petardi ad un solo “botto”, chiamati “masculi “, che veniva eseguito alle prime luci dell'alba o comunque di mattina presto, generalmente in aperta campagna, ed annunciava la festività di San Giuseppe  in Paese o nella Contrada. I botti si susseguivano con pause di 5/10 secondi e si concludevano dopo circa mezz'ora con un brevissimo gioco d'artificio. Nella tradizione popolare, San Giuseppe, sposo della Vergine Maria, è il Santo protettore dei poveri, poiché i più indifesi hanno “diritto” al più potente dei Santi. In questo giorno, si ricorda la Sacra coppia di giovani sposi, in un paese straniero ed in attesa del loro Bambino, che si videro rifiutato, alla richiesta , un riparo per il parto. Questo atto, che viola due sacri sentimenti: l'ospitalità e l'amore familiare, veniva ricordato anticamente ,con l'allestimento di un banchetto speciale. Così in alcune contrade della ... nostra città (ma anche in molti altri Paesi della Sicilia) il 19 marzo di ogni anno, si usava invitare i poveri al banchetto di san Giuseppe. In questa occasione, un sacerdote benediva la tavola, ed i poveri erano serviti dai padroni di casa. Oltre a proteggere i poveri e le ragazze, San Giuseppe, in virtù della sua professione, è anche il protettore dei falegnami, che da sempre sono i principali promotori della sua Festa. Nelle usanze Siciliane il 19 marzo è  associato ad alcuni aspetti della tradizione popolare : la vampa di San Giuseppe, la pasta con le sarde, la sfincia di San Giuseppe . In coincidenza con la fine dell'inverno, la Festa, si è sovrapposta ai riti di purificazione agraria, effettuati nel passato pagano. In quest'occasione, infatti, si bruciano i residui del raccolto sui campi, ed enormi cataste di legna vengono accese ai margini delle piazze. Quando il fuoco sta per spegnersi, alcuni li scavalcano con grandi salti, e le vecchiette, mentre filano, intonano inni per San Giuseppe. La “promisione” è il motivo fondamentale che spinge alcune famiglie a continuare una tradizione popolarissima, che da secoli tutti gli anni, per il giorno di San Giuseppe, si ripete: “Le cene di San Giuseppe o “Artari di San Giuseppe”. A Birgi presso il Baglio Sanges fino ad alcuni anni fa nel “passo Angileri” si rievocava “l’invito”….scopo principale era quello caritatevole verso famiglie povere, affinché non mancasse mai il pane tutto l’anno e l’invito alla mensa di tre bambini poveri. Era questa la rievocazione religiosa  della fuga di Gesù, Giuseppe e Maria dall’Egitto, ai quali veniva servito il pranzo, tra canti e filastrocche dialettali. Una bella consuetudine all’insegna della generosità  ed  il ringraziamento al Santo –da parte di altri  convenuti- i quali per grazia ricevuta  portavano provviste alimentari, indumenti e quanto di più utile ai tre bambini che rappresentavano la Sacra Famiglia. Il Pranzo cominciava con il primo piatto servito :  la pasta con le sarde e la mollica, seguivano le polpette di sarde o d'uova,  quindi le fritture, in ultimo i dolci e per concludere la frutta fresca e secca . Un altro aspetto della tradizione era la realizzazione con “i pani” dell’Altare di S.Giuseppe in ogni casa. Ancora oggi quest’usanza è molto diffusa in alcune nostre contrade: I preparativi che iniziano mesi prima impegnano soprattutto le donne della famiglia che aiutate da parenti e amici destinano una loro stanza di casa affinché si possa impostare l’altarino con la mensa ed il giorno di San Giuseppe possa essere visitato da gente che viene da fuori a cui vengono offerti pezzi di pane fatto in casa con olive. Il pane, occupa dunque, un posto molto rilevante nella storia locale, esso riveste un significato sociale, religioso e sacro, simbolo fondamentale del lavoro umile del Santo, è preparato in diverse forme: la palma per ricordare la verginità della Madonna, mentre quello di Gesù bambino, a forma di fiore o di cuore più un cesto con gli attrezzi per il lavoro dei campi per rievocare l'operosità del Santo. Per ultimo abbiamo lasciato la…dolcezza ! …..il Dolce tipico di questa tradizione : la Sfincia di S. Giuseppe: (dal latino spongia, "spugna" oppure dall'arabo "sfang" o “isfing”, con i quali si indica una frittella di pasta addolcita con il miele), è un dolce fritto, diffuso nella Sicilia occidentale. La ricetta tipica prevede la realizzazione di una pastella di farina, acqua e uova, che viene fritta in olio bollente o in strutto, poi ricoperta con zucchero o, più comunemente, con una crema di ricotta di pecora con pezzetti di cioccolato, e guarnita da scorza d'arancia e pezzetti di pistacchio. “….la festa di San Giuseppe diventa dunque, il trionfo della sfincia con la ricotta, ma è utile ricordare che …..Marzo è un mese che non gode di buona fama, probabilmente per le sue stramberie meteorologiche . E di precedenti, poco raccomandabili deve averne molti, se un canto popolare (Pitrè) ci mette in guardia con i seguenti versi "E trasi marzu lu svinturatu , a cui cci scippa e metti la saluti , ma si pri sorti ti trovi malatu,  di novu ti lu fa lu tabbutu . “- Ma credo sia “grazioso” ricordare un episodio che si ripeteva annualmente a “Ballarò” ( uno dei mercati storici di Palermo):  il famoso "Zu Martinu" (u quarumaru ! )  di piazza Ballarò, che avendo perduto nel corso della sua vita moglie e figli in marzo, alla mezzanotte passata del 31, si affacciava al balcone di casa sua, compiva davanti una folla, in attesa, “osannante” una usuale funzione…… fisiologica, esclamando le fatidiche parole "…...e t'aju pisciatu Marzu!…va fa ntò c…..! “ e tra una bevuta e l’altra , pare che consumasse dodici belle “Sfincie ri San Giusieppi !” ….cù ssaluti !
San Giusippuzzu
(raccolta franco e filippa gambino)
Canto popolare di Anonimo – Epoca 1800
Ascoltato a Misserio (ME)
durante le Novene
di S.Giuseppe .Stessa versione
con “eu” ascoltata
durante la lavorazione dei panetti
di S.Giuseppe
a Salemi e nella contrada “Luogo di Giorgi”
di Marsala dalle famiglie  “Zicchina”
tanto operose
San Giusippuzzu vinia di fora
e purtava un mazzutteddu
d’insalata
Lu Bammineddu cci dissi
a la Madonna
mamma manciamu ca veni lu Tata
Mancia tu sulu ca sì picciriddu
eu manciu cù  to patri vicchiareddu.
Passa babbau pigghia a Turiddu
iddu s’ammuccia rintra u panareddu
Faciticcilla a naca all’arvuliddu
pi sintiri lu cantu di l’aceddu
L’ancilu passa Tu di cu  sì figghiu  ?
eu sugnu figghiu
i Maria e Gesippuzzu beddru .

domenica 11 marzo 2012

dal Quotidiano "MARSALA c'è" del 9-3-2012



I cosi duci di li batii... (G.Meli) PDF Stampa E-mail
Scritto da Franco Gambino   
Venerdì 09 Marzo 2012 10:19
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Quando, portandolo alle labbra,  si intacca quel dolce involucro di pasta frolla da cui fuoriesce, come lava incandescente,  la morbida crema calda si capisce perché si ha la convinzione comune che  le genovesi  si debbano mangiare  a  “scotta- labbra…..e,  se a tutto ciò aggiungi il profumo della cannella o che sò io….da qui capisci perché molti poeti e studiosi hanno decantato la pasticceria conventuale.  I cosiddetti “viscuotta rà monaca” ed i dolci della badia   diffusi e ricercati in numerosi centri della Sicilia,  ci dimostrano l’importanza che essi hanno avuto  presso i  monasteri –particolarmente femminili-  nello sviluppo della  “pasticceria siciliana”, al punto, che il Pitrè  ne considerava un vera e propria cultura popolare la conservazione ben ... celata dei ricettari. Un’interessante testimonianza  ci viene dal Meli il quale dedicò una delle sue splendide poesie ( “ Li cosi duci di li batìi “) ai dolci che venivano preparati dai ventuno monasteri della Sicilia Occidentale ma prevalentemente a Palermo ed Erice……Monastero di S.Chiara (Pa), S.Caterina (PA) , la Martorana (PA) , Convento di Clausura S.Carlo di Erice etc. Il Pitrè al proposito, ironizzando sull’argomento, annotava che ogni monastero aveva -come simbolo- l’emblema in legno o in marmo che richiamava le loro specialità…..”Le braccia incrociate” per le Francescane, “una piatta di pasta mandorle” nel simbolo della Charitas delle Monache Paoline…etc.  Ancora oggi sono molto note le “cassatelle” della Martorana o di S.Caterina, i bocconcini di cedro delle Monache Benedettine di S.Michele a Mazara, i “nucatili” del Monastero di S.Elisabetta, i  “muscardini” della Concezione per il Festino. Il Monastero di S.Carlo a Erice era noto fino a qualche decennio fa,  per  dolcetti di riposto, per quelli di mandorle, per  i biscotti della Batia e per le rinomate genovesi , la cui ricetta  è  custodita da pochissimi “dolcieri” tra cui la nota Maria Grammatico di Erice ed il marsalese Paolo di Girolamo di “lungolanottediDara” il cui laboratorio è preso d’assalto -durante la notte- da giovani e buongustai lungo la via Trapani. La chiesa ed il convento di Erice eretti nei primi del 1600 furono dedicati a S.Carlo e, pare, che, per tradizione, le Suore in ogni festività o ricorrenza  preparassero un vassoio speciale con i dolci del convento per il “Confessore”… unitamente a sei fazzoletti di seta rossa e gialla e sei cucchiaini da caffè in argento. Nei secoli scorsi , nelle case patrizie, i nobili usavano far preparare i dolci –per i loro sontuosi ricevimenti-  dalle suore di clausura. Pare, però, che la bravura delle Suore suscitasse qualche gelosia (invidia) tra i “monsù” o i cuochi dei “Palazzi” e, come riportato da Giuseppe Pitrè nel suo libro “La vita di Palermo cento e più anni fa…(Cap.X pag.71)”  pare che “al cospetto delle Suore, qualsiasi “speziale” (dolciere), dovesse andare a nascondersi” ! Come molti ricorderanno, ogni Monastero aveva un piatto , un manufatto, un manicaretto che era  come il suo distintivo. Tutti i Pasticcieri  gareggiavano nel comporre specialità d’ogni maniera …ma nessuno poteva mai uguagliare la squisitezza dei dolci conventuali. Molti dolci , che oggi troviamo in tutte le Pasticcerie, un tempo erano legati alle particolari festività : Feste in Famiglia, Ricorrenze del Calendario Liturgico, Feste Patronali. Essi ancora oggi rappresentano un giusto “riferimento” per onorare un evento – dalle Festività  religiose al pranzo domenicale…..E’ sempre buona usanza , qui da noi, che si portino dolci quando si è invitati  e la vera  accoglienza consiste quando gli ospiti sono costretti a….”bussare con i piedi ! “ (….avendo le mani impegnate dalle enormi guantiere di dolci). I Dolci  sono (erano !) protagonisti principali nelle Feste di Fidanzamento……era infatti d’obbligo da parte “rù zitu”, quando si presentava per …”l’acchianata” ( con i genitori faceva visita - per la prima volta-  a casa della fidanzata per la….”ricanuscenza” ! ), portare le “paste”   ed ogni tipo di dolci ripieni ( dalla ricotta alla cucuzzata) e..solo così era Festa. Ma un aspetto che trae origine dalla tradizione delle Monache di Clausura era l’ampio riferimento dato ai biscotti ed ai cannoli, alle iris  o alla cassata…..Pare infatti che i famosi biscotti di S.Martino avessero in origine due forme collegate alla procreazione : una a bastoncino ed una  rotonda… entrambi a rappresentare la fecondità, oggi è rimasta solo quella rotonda (a rappresentare il grembo femminile).  Il cannolo simbolo maschile per eccellenza , è nato tra le mura dei conventi e pare che, inizialmente, le sue dimensioni, maliziosamente, fossero state “alterate” dalle monache ericine . A questo dolce , ormai conosciuto in tutto il mondo, le monache hanno associato la morbidezza delle iris con ricotta, simbolo della femminilità del grembo materno.   Ho lasciato per ultima la famosa “cassata”. La tradizione vuole che la cassata siciliana sia stata inventata,  al culmine della dominazione musulmana. La sua antica nascita, è testimoniata da un documento del Sinodo di Mazara del Vallo del 1575, nel quale la cassata e' definita "indispensabile nelle feste pasquali". Intorno al 1700 i monasteri di clausura si appropriarono del primato della produzione della torta arricchendola del caratteristico bordo verde di pasta di mandorle. Rivediamo ora, immaginandola insieme, piacevolmente, Cari Lettori, la cosiddetta “Ruota” (la botola posta all’entrata nella parete divisoria del muro del convento) dove le suore porgevano  le guantiere….. non prima –dopo aver fatto girare la ruota- d’aver ritirato il pagamento….a scanzo di brutti scherzi ! Anche questo faceva parte della….tradizione.
I cannuola

Epoca 1685
un poeta tale Monaco Sac. D. Stefano
Ode ai Cannoli
Beddi cannola di Carnilivari,
megghiu vuccuni a lu munnu
nun cci n'è;
ssu biniditti spisi li dinari.
Ogni cannolu è scettru di ogni Re;
arrivanu li donni a disirtari;
lu cannolu è la virga di Moisè;
cu nun ni mancia,
si fazza ammazzari,
cu li disprezza
è un gran curnutu affè!

venerdì 9 marzo 2012

un evento unico al "Teatro Baluardo Velasco" di Marsala- il Concerto per Liuto del M° Gianluca Lastraioli !


                                                                                                    
                                                      
Un vivo successo….. il  bel pubblico di Marsala ha decretato al concerto per Liuto del M° Gianluca Lastraioli. Le note rinascimentali del “magico strumento” hanno rivelato le delicatezze e le superbe tecniche d’esecuzione dell’Artista, considerato oggi uno dei più  virtuosi “liutisti” in campo nazionale. Presentato in maniera egregia dal M° Giuseppe Porcelli, il M° Lastraioli, ha intrattenuto il pubblico –durante la presentazione di ogni brano- attraverso sue “gustose” esperienze personali degli inizi della Sua carriera,  rievocando,tra l’altro, la  Sua passione giovanile di “rocchettaro” e la sua ammirazione per i Beatles. Un avvenimento , dunque, per Marsala…..che il Maestro ha promesso di ripetere, compatibilmente con i suoi impegni professionali e concertistici. La bella “bomboniera” della Corte del Velasco, la “familiare” cordiale accoglienza, del personale del Teatro e , soprattutto,  dei padroni di Casa (Paolo Navarra, Claudio Forti, Salvatore Ciaramidaro, Peppe Porcelli ) e la finale degustazione di un “moscato doc”, hanno fatto da cornice ad uno degli eventi…..unico per Marsala ed , a fine serata, abbiamo sentito, tra i commenti gratificanti del pubblico  entusiasta, qualcuno che uscendo sussurrava :  “ ci voleva “ !....più successo di così

domenica 4 marzo 2012

il Prof. Aldo Nocitra Socio Onorario della Nostra Associazione in visita al Presepe di Ciccio Parrinello a Birgi

                                                     Padre Enzo Vitale dell'Opera di Birgi
    
                                                               

....quando dell'Amicizia se ne fa un uso improprio....(esempio ? : l'opportunismo ! )

Dedicato a chi....sà  leggere !